“Suk” della metro 3: la linea Pisapia e l’obiettivo trasloco enunciato
dall’assessore sandonatese Michele Mardegan non turbano più di tanto chi
del mercato è protagonista, cioè gli stranieri (punteggiati da
rappresentanze tricolori) che ogni domenica da dieci anni fanno
diventare l’ex parcheggio Atm una cittadella dello smercio a prezzo
discount.
Le duecento bancarelle dentro il perimetro offrono un quadro
della loro attività in cui una cosa appare abbastanza confusa - il
pagamento del plateatico, e a chi esattamente - mentre un’altra viene
messa avanti con chiarezza dagli esperti commercianti maghrebini:
«Vogliono il parcheggio al posto di noi? Lo facciano, ma si sappia che
anche l’Atm guadagna un sacco di biglietti di domenica su questa tratta,
gente che va e viene in metro con sacchetti e borse. Tolti loro, non
sappiamo se i conti tornerebbero coi ticket di sosta». Un’altra
impressione emerge da diversi gestori di piazze di vendite: «C’è una
crisi economica terribile, qui la gente, compresi gli italiani, viene a
comprare le calze a due euro cinque paia e i cellulari a dieci. È dura
togliere la possibilità di acquistare, ma anche quella di vendere». In
una gelida festività invernale il mercato che balla sul confine
Milano-San Donato appare decisamente meno affollato rispetto alla
stagione calda e, a essere onesti fino in fondo, più “occidentale” nella
concezione. In inverno si notano anche alcuni spazi vuoti nel centro,
liberi per gli spuntisti che mettono giù teloni fantasia con scarpe
dall’aria usata, trapani, fresatrici, cavi elettrici, autoradio,
caffettiere, pentole, dvd arabi. Il “suk” da oltre un decennio propone
la sua formula caotica ma in linea generale definita: salvo
l’alimentare, che porrebbe problemi igienici non trascurabili, il resto
si trova tutto. Che una delle nuove regole del Comune di Milano possa
essere ottemperata in fretta, ci sono pochi dubbi: tenere il prezzo
delle merci sotto i trecento euro è dire piovere sul bagnato. A occhio,
sopra questa cifra c’è forse qualche cucina a gas in esposizione. In
mezzo alle corsie la maggioranza che si aggira è ancora straniera, araba
in particolare, ma incrociare una faccia almeno in apparenza italiana
non sembra più la mosca bianca di qualche anno fa. Appena entrati il
baracchino dei panini a destra si manifesta italianissimo; più avanti si
incontra il classico piazzista di pentole e coltelli magici in stile
Fiera del Perdono di Melegnano; oltre ci si imbatte in un camion con la
scritta “mercatino del nuovo e dell’usato”. Ma chi si paga per occupare
la piazza? «Questo è un mercato privato - dice Abi di Lecco, che ha
iniziato dieci anni fa assieme al padre marocchino l’avanti e indietro
con scatoloni di pantaloni e giacche- non siamo noi direttamente a
pagare l’Atm o il Comune di Milano, ma lo fa l’organizzazione. In
pratica c’è un coordinamento che raccoglie le quote; ottanta euro a
banco ogni domenica. Sono tanti, facciamo una fatica dannata, ogni
mercato mi costa 150 euro compreso il gasolio salito alle stelle». «E
poi oggi è vuoto», constata assieme ad altri due ragazzi che gli danno
una mano. In effetti quando ci sono piazze libere, pare di capire, gli
80 euro li versano solo i banchi fissi. I teloni no, e infatti «io oggi
non pago», conferma un altro ambulante nordafricano che dispone di poche
paia di calze. La cifra di 80 euro sborsati a domenica torna anche nei
chiarimenti di Mohamed, che governa un banco “anfibio”: da una parte si
vedono vestiti, dall’altra elettronica varia a basso prezzo. Mohamed
precisa di essere alla sua postazione da poco, due anni, ma introduce
un’altra visuale: «Hanno calcolato cosa significa per gli incassi Atm,
quindi del Comune, avere decine di migliaia di persone in meno sulla
metro? Chi verrebbe qui di domenica se ce ne andiamo noi?». Mohamed è
vago sull’esatta origine di queste merci disparate e multicolori, che a
naso sembrano uscire da discariche, cantine o dalla tecnologia di
qualche anno fa: «C’è ricettazione? E dove non c’è ricettazione in
Italia? Negli altri mercati è diverso? Non mi pare». La spina centrale
della fiumana di bancarelle è costituita appunto dagli “occasionali”,
cioè da quelli che hanno un altro lavoro oltre al commerciante, e
secondo la ricetta di palazzo Marino sarebbero gli unici che
conserverebbero il diritto a esporre. «Qui c’è una netta divisione -
spiega Alì, idraulico cinquantenne con impresa attiva a Milano e
attrezzi artigiani vari appoggiati sul bancone - io vendo qualche cosa,
roba che arriva da discariche, ma se anche perdo questo lavoro mi resta
l’altro e quasi mi fanno un favore. Ma altri qui campano eccome. Anche
svuotando cantine, con la crisi il commercio occasionale è diventato
questione di sopravvivenza».Fonte: Il Cittadino