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sabato 12 settembre 2009

I Comuni del basso lodigiano - Terranova dei Passerini

Paesaggio


E’ posto nelle vicinanze della località dove il colatore della Muzza si getta attraverso la cosiddetta “regona” per raggiungere l’Adda.Fu feudo di Cosimo Castiglioni (cittadino di Firenze) per diploma 12 luglio 1682. Vi si stanziarono i Lanzichenecchi avviati all’assedio di Mantova (1629-30). Ha un antico oratorio detto “della Visitazione”.Comprende parecchie frazioni importanti. Ricorderemo Biraga. Il 15 luglio 1682 fu investito di questo feudo il predetto conte Castiglioni. Poi questi luoghi passarono alla famiglia Stampa fino all’estinzione dei feudi.Vi possedette anche il Monastero Maggiore di Milano per eredità di una monaca, figlia di Antonio Birago. I territori di Terranova, Sant’Alberto e Biraga costituivano l’antica corte de Tillio. Nel Sinodo III del vescovo Michelangelo Seghizzi (1619) si registra l’oratorio di San Giovanni Battista de Attilio, corruzione di DeTillio. Idelbrando di Comazzo, unitamente ai beni che aveva assegnato il 23 dicembre 1039 al Monastero di San Vito da esso fondato, lasciò ad esso anche la corte di Tillio.Alla Biraghina (dove appunto il colatore della Muzza fa gomito verso nord per proseguire sull’Adda) si notano cascate rilevanti sotto il ponte che da questa frazione prende il nome.Cascina dei Passerini, particolarmente devota a San Teodolo, Vescovo di Sion, Vantava una campana miracolosa contro la grandine, nella quale era fama fosse inserito un frammento della originaria campana del Santo da lui stesso donata. Cascina dei Passerini pare anche anticamente si chiamasse Caput Augusti.Nel secolo XVI Cascina dei Passerini era feudo dei Triulzi, unitamente a Codogno e San Fiorano, ma morto il principe Antonio Teodoro Trivulzio, il feudo passò al giureconsulto Cesare Lambertengo, della corte di Spagna, e per lui venne innalzato a contea il 12 dicembre 1684. Nel 1633 faceva comune con San Giacomo in Campagna; nel 1787, Cascina dei Passerini apparteneva alla duchessa Moles; nel 1811 fu aggregato al Comune di Casalpusterlengo; il 12 febbraio 1816 tornò a far comune a se; nel 1869 fu concentrato con Terranova.Importante, pure, dal lato storico, la frazione di Roverado, ricordata fra i beni dell’arcivescovo di Milano Ariberto da Intimiano(1034). Roverado fu, prima feudo dei Triulzi; il 22 settembre 1684 il feudo fu conferito ad un Imbonati, questore delle rendite ordinarie, nominato conte il 24 febbraio 1685.Alla frazione Sant’Alberto sorse un ospedale ricordato già nel 1189. I beni di quest’ospedale, verso l’anno 1337, vennero incorporati con quelli dell’ospedale di San Bassiano(lodi), e quindi livellati nella casa Biraghi, milanese. Passarono quindi ai Sommariva, ai Cadamosto, ai Grassi di Castiglione, ai Cotta: e, nel XVI secolo, furono confiscati dal celebre maresciallo di Francia, Odetto de Foix.La chiesa parrocchiale è sita nella località cascine dei Passerini ed è intitolata a San Giacomo Maggiore Apostolo. E’ una costruzione settecentesca a tre navate, con una decorazione affrescata rococò, purtroppo pesantemente ritoccata; notevoli l’organo, con una splendida balaustra in legno e bronzo, ed il gruppo ligneo della Crocifissione, con l’Addolorata e San Giovanni in una nicchia sopra l’altare maggiore.Altri piccoli oratori , in gran parte semiabbandonati , sono sparsi nelle varie frazioni: quello di Sant’Antonio da Padova, tuttora officiato, a San Giacomo, la chiesetta della Natività di Maria a Fornaci e quella di San Giacomino e San Giacomo Campagna.

venerdì 4 settembre 2009

I Comuni del basso lodigiano - Ossago Lodigiano

Santuario Mater Amabilis

E’ comune, posto nella pianura che è limitata fra le due strade di cui una conduce da Lodi a Borghetto l’altra da Lodi a Casalpusterlengo.Il territorio è, in molte parti, irrigato da un canale che raccoglie le acque disperse della Muzza e che, poi, vanno a finire nel Po, sotto Guardamiglio.Ossago ha conservato pressoché intatta la fisionomia tipica del borgo rurale: il suo centro storico, è ancora percorso da vie tortuose, che seguono con slarghi e strozzature il perimetro irregolare delle vecchie abitazioni, articolate come un tempo attorno al cortile, perno di tutte le attività.Nelle antiche carte si registra Orxagum, locuzione che ci illumina sull’origine del nome che potrebbe essere orso, con “rs”, cambiate in “ss” come in dorso, dosso, forse per la presenza, nel luogo selvaggio, di qualche plantigrado. Vi è chi credette, e lo conferma l’ Agnelli, che in questo territorio avesse luogo una battaglia, e che dalle ossa ivi trovate il luogo venisse chiamato Ossago; ove il poeta Gabbiano, nella sua Laudiade dice:“Ossago le tant’Ossa in grembo serba che il fiero seminò Marte cruento”.Le prime memorie che si hanno di questo risalgono al 972, in cui vi possedevano i monaci di S.Pietro di Lodi Vecchio.Apparteneva alla Pieve di S.Martino in Strada, i cui preti vi esigevano le decime: innalzatasi, quindi, la chiesa, sorsero contese con quei di S.Martino per cagione di confini, le quali furono appianate l’anno 1204 dal Vescovo Del Corno. La Parrocchia di Ossago è intitolata ai SS. Gervasio e Protaso. L’ anno 1226 un Pietro Soffientini fu subinvestito dai Capitanei di Merlino, feudatari del Vescovado, di Ossago e di S.Martino in Strada.Nel territorio passava la via de Ronchalia, che probabilmente si allacciava colla via romana Cremona-Laus Pompeia nei pressi di S.Martino in Strada.Vi possedettero i Domenicani e i Canonici Regolari Lateranensi: di questi si osserva ancora una lapide con bassorilievo murata nella facciata della parrocchiale .Il feudo di Ossago appartenne lungamente ai Carcano. Si dice che questi usarono per i primi il nero di raffineria per concime, recando ai terreni una straordinaria fertilità.

mercoledì 2 settembre 2009

I Comuni del basso lodigiano - Corno Giovine

Il centro

E’ comune posto sull’alta costiera del Po, nell’angolo da esso formato con l’Adda, nei pressi di Codogno, a poca distanza dall’antica strada postale che da Lodi portava a Pizzighettone e a Cremona.Sull’alta costiera del Po, a sud-est di Codogno, sono tre i paesi che portano la denominazione di “ “Corno”: Cornovecchio a levante, Santo Stefano al Corno a ponente e Corno Giovine nel mezzo.Tutte e tre queste località hanno in comune l’origine da un antico popoloso insediamento sulle rive del fiume, detto Villafranca, ovvero luogo “franco”, sicuro per i viandanti che intendevano transitare oltre il Po, in territorio piacentino, senza incorrere nei briganti. Distrutto Villafranca dalle frequenti inondazioni del Po, gli abitanti andarono a costruire tre nuclei distinti, i tre “corni” appunto, così chiamati dal corno o ansa che il fiume forma in quella zona (la radice “cor - gor” deriva dal gallo-celtico e significa luogo elevato, altura di piccola entità).Corno Giovine è definito nelle antiche cronache “Corneto”; si racconta che vi si innalzava una rocca fortificata, eretta contro il Barbarossa ed i suoi alleati cremonesi, parmigiani, reggiani e modenesi, da una coalizione formata da milanesi, piacentini, comaschi, vercellesi, alessandrini e novaresi. Della rocca non rimane più traccia.Agli inizi del’500 anche la parrocchia era rimasta unica per i tre paesi, venne smembrata da Papa Leone X; quella di Corno Nuovo (poi Corno Giovine) divenne presto la più importante, essendo anche sede di vicariato: anzi, la sua giurisdizione si estendeva fino al di là del Po, confinando direttamente con il territorio di Piacenza. Si riallacciava a questa situazione storica una consuetudine sopravvissuta fino a pochi anni or sono: durante la notte di Natale, il comune di Roncaglia (quello dove si svolse la famosa Dieta), che sorge sulla riva opposta del fiume, offriva dei capponi alla chiesa di Corno Giovine.Il territorio comunale comprende due frazioni: Mezzano Passone di Sopra e Mezzano Passone di Sotto, fino al 1860 comuni autonomi. Nella prima c’è una graziosa chiesetta, chiamata chiesa dei Morti della Porcara, eretta nel ’700 in memoria dei caduti durante una battaglia della guerra di successione spagnola, sepolti in un campo vicino.La fisionomia di Corno Giovine è rimasta essenzialmente agricola fino al primo dopoguerra: una proprietà agraria spezzettata in un centinaio circa di poderi a coltivazione intensiva.

mercoledì 22 luglio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Mairago

Cascina Griona


Mairago è luogo antichissimo, di cui si ha notizia fin dal 69 d.C., anno in cui secondo la tradizione, il vescovo di Pavia S. Siro, si fermò a Mairago per confermare nella fede le popolazioni di quella zona.Nel 725 Liutprando, re dei longobardi, donava le terre di Mairago al monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia, che egli stesso aveva fondato nel 723. Nel 1053 esse passarono, con altre, alla canonica di S. Ambrogio in Milano, per effetto di una donazione; successive notizie indicano come feudatari, a partire dal 1189, i vescovi di Lodi. Il duca di Milano Francesco Sforza donò il feudo al suo cancelliere,Cicco Simonetta, che però cadde in disgrazia presso Ludovico il Moro e fu decapitato.I suoi beni, confiscati, passarono nuovamente di mano: li ebbe Giovanni Angelo Talenti, ambasciatore di Ludovico il Moro presso la città di Napoli.Nel 1703 troviamo investito del feudo il marchese Giulio Cesare Vaino, che fu probabilmente l'ultimo signore.Anche Basiasco ha una storia interessante. Il suo nome, presenta il radicale "bas", derivante probabilmente da tedesco wasser, acqua: luogo dove sorge l'acqua.A parte la probabile visita di San Siro del 69, la notizia più antica risale al 25 aprile del 924, quando la famiglia lodigiana dei Vignati acquistò, nella località di Variano presso Belvignate, terre e palazzo della famiglia Sommariva. L'imperatore Federico Barbarossa, però, riconfermò in seguito tutte queste terre ai vescovi laudensi, che le concessero a loro volta in affitto a nobili di loro fiducia.Basiasco fu teatro di due fatti d'arme importanti: il passaggio dei lanzichenecchi, negli anni 1629-31, e la resistenza dell'esercito piemontese contro gli austriaci, nell'agosto del 1848.Mairago è un comune dalla lunga storia, malgrado le modeste dimensioni, e il suo maggior vanto sta nell'aver dato i natali a quattro illustri personaggi, che ebbero gran peso nella storia culturale e politica del territorio lodigiano: un uomo politico, un soldato di ventura, uno scienziato e un artista.Il primo fu Giovanni Vignati, signore di Lodi e di Piacenza, che, pur essendo nato qui, risedette quasi completamente nella sua dimora patrizia di Belvignate, ora poco più che un aglomerato di case coloniche, ma nei secoli scorsi fiorente feudo di una delle più ricche e potenti famiglie laudensi.Il Vignati, ambizioso e audace signorotto di campagna, di parte guelfa ,ebbe il merito di giocare il ruolo di mediatore fra l'imperatore Sigismondo e l'antipapa Giovanni XXIII, ospitandoli in Lodi e preparando il famoso concilio di Costanza, che pose fine allo scisma di occidente. La fama europea procuratasi in quel dicembre 1413 lo rese però inviso ad altri signori, primo fra tutti Filippo Maria Visconti, che prima fece gli uccidere i figli, poi lo imprigionò nel castello di Pavia, dove il Vignati si tolse la vita.Il secondo personaggio illustre è Tito Fanfulla, noto soprattutto per la sua clamorosa partecipazione alla disfida di Barletta, nel manipolo dei tredici cavalieri italiani guidati da Ettore Fieramosca. Figura avventurosa e affascinante di soldato di ventura, la tradizione popolare lo ha da sempre considerato nativo di Basiasco.Il terzo figlio celebre di Mairago è lo scienziato Agostino Bassi (1773-1856). Tipico esponente del secolo dei lumi, aprì al mondo la strada della microbiologia, con pazienti ricerche confortate dal rigoroso metodo sperimentale, specialmente sulle proprietà patologiche di un fungo parassita del baco da seta. Stabilitosi a Lodi in giovane età, qui visse, studiò e morì: è sepolto nella chiesa di San Francesco.Infine a Mairago Nacque Mosè Bianchi, omonimo del più famoso pittore scapigliato di Monza. Di famiglia povera, studiò pittura in un primo tempo a Lodi, quindi riuscì a divenire allievo a Milano del più celebre maestro della pittura romantica, l'Hayez, da cui apprese il genere storico allora tanto in voga. Ma fu anche buon ritrattista e paesaggista, di stile preciso ed accurato. Molto bello un suo autoritratto giovanile , che si trova agli Uffizi di Firenze, ed altre tele (Panni al sole, Casolare di Mairago, Ore tranquille), custodite al museo civico di Lodi.

sabato 11 luglio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Ospedaletto Lodigiano



Arco della pace

E' comune situato a ovest di Casalpusterlengo, a sinistra della strada che porta a Corteolona, Belgioioso e Pavia.Qui, fin dal XII secolo, ebbe sede un ospizio che offriva vitto e alloggio ai pellegrini e da cui deriveranno i futuri istituti ospedalieri; è da questo "Ospedaletto nel Lodigiano" che il comune prende il nome.L'origine di questo ospedale è antichissima, infatti, già nel 1150 vi abitavano circa 12 frati e fino al XIV secolo appartenne al Monastero di S. Pietro di Senna, successivamente passò sotto la giurisdizione dei monaci Gerolamini, ordine fondato nel 1424 che lo trasformò presto in abbazia. Ospedaletto diventò la sede dell'Ordine e giunse ad ospitare fino a 40 frati, oltre ad una ventina di nobili milanesi decaduti cui veniva concessa la facoltà di vestire l'abito monacale e di vivere in comunità. Fu costruita la Chiesa parrocchiale dei SS Pietro e Paolo, il campanile, e si allargò il chiostro; inoltre si resero fertili i terreni circostanti con l'apertura del colatore Ancona e di una rete di rogge facendo aumentare in questo modo notevolmente il reddito dei terreni. Artefice di tutto ciò fu l'abate generale, conte di Ospedaletto, al quale Paolo V e Urbano VIII avevano dato l'uso degli abiti pontificali.L'ordine dei Gerolamini fu soppresso il 24 aprile 1797 con rescritto del generale Kilmaine, comandante per conto di Napoleone in Lombardia, la soppressione fu l'inizio della distruzione graduale del maestoso complesso monastico.Nel Maggio del 1798 Giovanni Battista Chevilly di Marsiglia, comprò il Monastero e i possedimenti annessi. Quando nel 1799 l'armata austriaca occupò nuovamente la Lombardia, che nel frattempo era divenuta Repubblica Cisalpina, il Monastero in disuso fu confiscato e dato dai tedeschi all'Amministrazione del Fondo di Religione.Quando, con la famosa battaglia di Marengo, la Lombardia fu riconquistata dai francesi, Giovan Battista Chevilly ritornò e l'11 luglio1800 recuperò il Monastero e il fondo di Ospedaletto; il giorno 4 maggio 1801, Chevilly iniziò l'opera di demolizione del monastero ormai pericolante.Il Chevilly fece costruire vicino alla piazza della parrocchiale, l'Arco della Pace, che dedicò a Napoleone . I beni di Chevilly in seguito furono venduti alla casa Litta Arese, che, a sua volta, li vendette a Riccardo Holt, verso il 1825.In seguito il grande Monastero fu distrutto quasi completamente.Oggi quello che ci rimane è il muro di cinta e l'edificio dei novizi, ora sede dell'azienda agricola "Noviziato".Al centro del paese vi è un bellissimo orologio solare, costruito dal Padre Sopransi e restaurato dall'Ing. Dionigi Biancardi verso la metà del secolo scorso.Ospedaletto diede i natali a due importanti musicisti: Franchino Gaffurio nel 1451 ed Ambrogio Minoja nel 1772.

sabato 4 luglio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Livraga


Casa colonica

Livraga è indubbiamente un paese molto antico, come testimonia la desinenza celtica del suo nome che starebbe a significare “piccola stazione “ non si sa gran che della sua esistenza fino ai primordi del nuovo millennio, quando per la prima volta compare citato il nome di Loirago fra i beni donati da un tal Lanterio e dalla moglie Guida alla canonica di Sant’Ambrogio di Milano.Ma è noto che di qui passava la strada che congiungeva “Placentia” e “Mediolanum” attraverso “Laus Pompeia” , e che una stazione di cambio dei cavalli era situata proprio a nord di Livraga, presso Brembio, la “Mutatio Tribus Tabernis” (poi detta Tastaverno), dove si trovava dunque anche un’osteria. In seguito il tracciato della via Romea venne modificato per volontà dei lodigiani della nuova Lodi che, valendosi dei diritti loro concessi dall’imperatore Barbarossa, vollero far confluire sulla loro città tutte le vie di comunicazione che immettevano all’antica. Ordinarono quindi di distruggere il tracciato romano proibendovi il transito e prescrivendo anzi di ridurlo a terreno coltivato. Livraga venne congiunto a Lodi con una nuova strada, passante per San Martino e Ossago, quella che oggi è denominata strada lodigiana. Proseguendo nella storia troviamo nuovamente citato il nome “Luviraga” fra i possedimenti della chiesa laudense, concessi da Federico I ad Alberico,vescovo di Lodi, nel 1164. I vescovi vi esercitarono i diritti feudali e li concessero a loro volta ad altre famiglie: i Vignati, poi Oddone e Bernerio de Cornaiano. Il godimento episcopale venne riconfermato anche da Arrigo VII di Lussemburgo. Nel 1400 il feudo passò in mani diverse, dai Cadamosto, nobile famiglia lodigiana, a Bruzio Visconti, podestà di Lodi, mentre il rettorato della chiesa,dedicata a SS. Bassiano e Martino veniva di mano in mano concesso a membri di illustri famiglie lodigiane. Nel 1600 Livraga ed Orio appartenevano ai Cavazzi di Somaglia, che, alternandosi con i Dati di Cremona, tennero il feudo fino ai primi anni del settecento.Un audace cittadino di Livraga fu Dionigi Nicola Biancardi, emulo del Montgolfier, che legò il suo nome ad una spericolata traversata della Manica con un pallone aerostatico, compiuta nel 1785. Il Biancardi costruì diversi tipi di macchine volanti, ed un aerostato munito di remi, timone ed altri attrezzi per dirigerlo, nonché di paracadute, che fu il primo ad usare, purtroppo tragicamente. Morì infatti il 3 gennaio 1793, annegando nell’Atlantico, che aveva sorvolato per largo tratto sopra Filadelfia. Anche la moglie Sofia Armant diede prova di straordinario coraggio, continuando l’arte del marito e finendo altrettanto tragicamente a Parigi, nel 1819 Livraga ha dato i natali anche ad un’illustre maestro, compositore di canti e musiche ecclesiastiche, Paolo Bonifici, morto nel 1840, ed a Giuseppe Moro, valente medico, che univa allo studio delle scienze quello delle lettere, specie le classiche. Gente coraggiosi e colta i livraghini, che seppero sviluppare anche la produttività della propria terra, mediante l’agricoltura e l’industria casearia. In paese vi furono in passato diversi fiorenti caseifici, con una produzione pregiata soprattutto di burro e di formaggio grana.La parrocchiale nella piazza principale, è dedicata a San Martino Martire. Vi si conserva per singolare privilegio, il corpo di San Gennaro Martire, donato alla comunità di Livraga dal padre gesuita Stefano Rossi nell’anno 1672,dopo aver traslato dal cimitero di Santa Priscilla di Roma.Più antica e più bella è però la chiesa di San Bassiano, lungo la strada lodigiana: è una costruzione del XVI secolo ad una sola navata, con abside poligonale, separata dal resto da un arco affrescato con la SS.Trinità e quattro figure di ecclesiastici. Ai lati si aprono due cappelle, di cui quella di sinistra ha una bella decorazione in stucco , con la statue di San Fermo, San Rocco e San Bassiano. Alle pareti un affresco raffigurante San Bassiano che guarisce un lebbroso e due tele con episodi del martirio di San Giovanni Battista e probabilmente di San Fermo. La Facciata, assai armoniosa, si eleva su due ordini coronati da un timpano; presenta fregi in cotto, quattro nicchie con statue ed al centro una bella bifora in stile rinascimentale.Dagli anni ‘60 Livraga è assai noto nella Bassa per il suo Carnevale; infatti vi si svolge una sfilata di carri allegorici realizzati dal “gruppo di Carnevale livraghino”, è una sfilata di carri allegorici che si snoda per ore e ore e coinvolge in rumorosa allegria tanti visitatori. Con i carri sfila anche la celebre ed ultracentenaria “Banda Vittadini”, fondata nel 1880 con un lascito del proprietario terriero Giovanni Vittadini.

domenica 7 giugno 2009

I Comuni del basso lodigiano - Guardamiglio





Chiesa di San Giovanni Battista

Il centro, situato nella zona periferica di una grossa città romana (PC) e lungo una grande via di comunicazione, anticamente doveva essere solo un agglomerato rurale, una delle tante stazioni per il cambio dei cavalli, all'epoca aveva sicuramente una certa rilevanza, anche se non restano testimonianze. Di quel periodo si sa che il comune è rimasto legato alla storia della vicina città di Piacenza, fino alla costituzione della Repubblica Cisalpina nell'anno 1797, in cui venne annesso al territorio lodigiano, insieme agli altri comuni situati alla sinistra del Po.L'etimologia del toponimo, è stata ricondotta da alcuni al console Lucio Emilio e ricorderebbe il suo valore nel domare una ribellione dei galli, già soggiogati nel 224 a.C., da allora in poi il luogo si sarebbe denominato "ardor Aemilii", e per correzione fonetica Guardamiglio. Un'altra ipotesi invece fa derivare il nome del paese dalla distanza che lo separava da Piacenza, cioè da "ad quartum miliarium"; ma potrebbe anche essere valida la semplice ipotesi della descrizione del luogo i cui dintorni erano un tempo coltivati a miglio, ne sarebbe la prova lo stemma raffigurante un gambo di miglio.Nell'anno 725, il re longobardo Liutprando donò tutto il territorio circostante Guardamiglio al monastero degli Agostiniani di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia, i quali furono costretti a venderlo per debiti nel 1225. In tale data il paese passò sotto la giurisdizione del comune di Piacenza, ma alla fine del secolo venne ceduto al conte Ubertino Landi, signore di Caselle Landi, di nobile famiglia ghibellina. Guardamiglio si trovò così coinvolto nella travagliata storia piacentina, di cui furono protagoniste le casate dei Landi e degli Scotti.Per tutto il 1300 i Landi, furono soggetti ai Visconti che dominarono Piacenza fino alla morte dell'ultimo signore Filippo Maria, nel 1447. Ai Visconti succedettero quindi gli Sforza, che riconfermarono ai Landi il possesso di Piacenza e di conseguenza anche quello di Guardamiglio.Nel 1500 la città cadde sotto l'esercito francese di Luigi XII, quindi se ne impossessò papa Giulio II. Anche il suo successore Leone X tentò con ogni mezzo di conservare il ducato, appoggiandosi ai fiorentini e agli spagnoli interessati a contrastare l'influenza francese. Dopo alterne vicende i francesi si ritirarono e Leone X finì con l'avere la meglio. Il rafforzamento del governo papale favorì naturalmente anche il passaggio delle terre circostanti in mano a famiglie a lui devote. Fu così che feudo di Guardamiglio passò dai Landi agli Scotti. Estintosi il ramo degli Scotti, probabilmente nella metà del XVII secolo, il feudo venne concesso a Giovanni Nicelli, col titolo di conte.Il piccolo centro appartenne politicamente al Ducato di Piacenza, e fu solo con la conquista napoleonica che il confine politico tra il piacentino e il lodigiano coincise di nuovo con quello naturale geografico.Il 7 maggio 1796 avvenne qui il primo combattimento su terra lombarda fra i soldati repubblicani condotti dal Bonaparte e gli Austriaci agli ordini del generale Beaulieu. Memorabile fu l'inondazione dell'ottobre 1907, quando l'argine del fiume si spezzo di fronte all'abitato di San Rocco al Porto. I sanrocchini allora, tentarono una spedizione per tagliare l'argine ed aprire alle acque un nuovo sbocco, che avrebbe forse salvato il loro paese, ma inondato Guardamiglio. A quel punto tutti i contadini di Guardamiglio accorsero per difendere il loro paese, dopo una violenta zuffa, quelli di San Rocco dovettero rinunciare a salvare il loro territorio a spese altrui.

domenica 24 maggio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Maccastorna


Parrocchia di San Giorgio Martire

E’ un paese le cui vicende storiche appaiono riassunte nel punto focale del piccolo agglomerato, il vasto castello che fu dei Bevilacqua, e nel quale pare il tempo si sia fermato. Un ponte collega questo territorio con l’opposta sponda cremonese, da cui Maccastorna sembra trarre le sue origini più antiche, che secondo gli storici locali, dovrebbero risalire al XIII secolo ed identificarsi con quelle del castello (le cui vicende hanno determinato da sempre la storia del nucleo abitato), anche se non si esclude un’eventuale origine più remota. L’Agnelli ritiene che nei primordi del medioevo e fin dopo la metà del XIII secolo, Maccastorna fosse un fortilizio atto a difendere il passo dell’Adda, e che si chiamasse Belpavone. All’alba della storia a noi nota stanno le lotte fratricide che insanguinarono Cremona nel corso dell’età comunale, attorno al 1270, quando i ghibellini, costretti alla fuga dai guelfi vittoriosi, trovarono rifugio in questo luogo, difeso naturalmente dalle acque del Po e dell’Adda. La rocca (Belpavone), in cui i ghibellini si asserragliarono, fu espugnata dal partito nemico, ma ben presto un nuovo edificio venne a sostituire l’antico maniero. Il nome di Maccastorna che si sostituì a quello di Belpavone, è derivante da una famiglia ghibellina di Cremona, detta de Mancastormis, e apparve verso il 1288. Nel secolo successivo la rocca venne in possesso della nobile famiglia dei Vincemala, a cui seguì quella dei veronesi Bevilacqua, grazie a una donazione effettuata da Gian Galeazzo Visconti. Il ruolo svolto da questa famiglia nella storia del castello è certamente fondamentale, dal momento che lo possedette fino allo scorcio del XIX secolo, quando lo vendette alla famiglia che ne è l’attuale proprietaria. Il castello di Maccastorna, a quei tempi, era il più forte dello stato, in mezzo alla vasta laguna del così detto mare Gerondo, nella quale si deviava l’Adda in tempo di guerra A Maccastorna si aggiunsero in donazione ; Cornogiovine, Cornovecchio, Meleti, Passone, Lardaria, Cavarizia e Caneta, formando così una vasta contea. Pare che il Bevilacqua si fermasse poco nel castello, sempre occupato in imprese guerresche ed in ambascerie per conto del suo signore. Egli visse lontano, e morì a Pavia nel 1397. Ne ereditarono i beni i figli Galeotto e Francesco, i quali come il padre, non si preoccuparono di migliorare lo stato del castello. Anch’essi restarono lontani da questo loro feudo, nel quale si ridussero solo dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402). I cremonesi, sempre indomiti, scossero il dominio dei Visconti e affidarono la signoria della città a Ugolino Cavalcabò, marchese di Viadana, il quale poté allora impadronirsi di varie altre località del contado circostante , fra le quali Maccastorna e il suo castello. A fianco del Cavalcabò, si trovava Cabrino Fondulo, soncinese, che teneva il comando delle forze militari cremonesi contro i tentativi di riconquista fatti da Gian Maria Visconti. Continuando frattanto la guerriglia, Ugolino Cavalcabò ed alcuni suoi parenti, verso la fine del 1404, furono fatti prigionieri e rinchiusi nel Castello di Milano. Il nipote di Ugolino, Carlo Cavalcabò, si fece proclamare signore di Cremona: e fu Carlo che poco dopo donò a Cabrino Fondulo di Soncino il castello di Maccastorna, dal quale erano usciti i Bevilacqua (rimasti fedeli ai Visconti), i quali si erano ritirati in un castello avito nel veronese (inizi del 1405). Cabrino Fondulo è la figura storica più notevole, anche se la più priva di scrupoli e più crudele, che abbia unito il suo nome alle secolari vicende della rocca di Maccastorna. Il peso della presenza del Fondulo si esprime soprattutto nell’opera di rinnovamento e di trasformazione che egli volle attuare per conferire alla rocca l’aspetto di una fastosa corte e insieme di un complesso fortificato. A questo intervento egli si accinse soprattutto in occasione delle sue nozze con Giustina de Rossi (1405), donna di nobile famiglia, della casa dei signori di Parma, (parentado che avrebbe rafforzato la potenza e l’autorità del Fondulo) che morì qualche mese più tardi. L’anno dopo Cabrino poté riannodare e conservare i legami di parentela con la potente famiglia dei signori di Parma sposando, il 27 febbraio 1406 Pomina Cavazzi della Somaglia. A questo punto pare che il castello abbia trovato la sua sistemazione definitiva, che ancor oggi si conserva abbastanza intatta, nonostante le manomissioni e le conversioni d’uso cui è andato soggetto nei secoli. Uno storico dei tempi narra che Cabrino si recò al castello con un gran numero di muratori, manovali ed abili artefici, restaurando e fortificando tutto quanto; vi allestì un quartiere di cento cavalli a cui, dal suo appartamento, poteva scendere mediante una scala segreta; nel recinto della rocca opposto a quello da lui e dalla sua piccola corte abitato, preparò alcuni quartieri per la soldatesca, duplicò i ponti levatoi, approfondì le circostanti fosse affinché fossero capaci di un maggior volume d’acqua, e pare costruisse anche la grande terrazza che circonda tutto l’interno del cortile; i pittori abbellivano e istoriavano le sale del castello, fece inoltre riedificare la chiesetta di San Giorgio, quasi di fronte alla facciata principale del castello Fondulo nel 1406, secondo la nota narrazione degli storici locali, mandò ad effetto il suo progetto di impadronirsi con la violenza della signoria cremonese, sopprimendo a tradimento Carlo Cavalcabò insieme con i suoi, ricevuti come ospiti; si narra che durante la notte del 24 luglio 1406, le stanze in cui riposavano i fratelli Cavalcabò, Carlo, Giacomo, Ludovico e il loro fido Andreasio, furono invase da un gruppo di sicari, e che tutti furono strozzati o pugnalati. E’ incerto dove finirono i cadaveri, forse nelle fogne del castello; si sa comunque che prima che fosse giorno Cabrino raggiunse Cremona, dove nessuno era al corrente del suo delitto, riuscì quindi a mettere le cose a suo favore e a farsi proclamare signore di Cremona. Qui tenne la città con fermezza , allargando i territori soggetti al suo dominio, accordandosi con i Visconti, migliorando l’amministrazione della giustizia e l’ordinamento delle milizie. Giovanni Vignati, signore di Lodi, cercò di vendicare la morte di Carlo Cavalcabò, suo genero; riuscì a stringere d’assedio la rocca e a impadronirsene più tardi. Tra Cabrino e il Vignati le ostilità continuarono a lungo, fino a principio del 1408, quando essendosi costituita una lega per annientare Ottone Terzi , signore di Parma, anche il Vignati fu invitato ad unirsi all’alleanza, e benché non volesse, dovette in segno di pace restituire a Cabrino Fondulo il castello di Maccastorna. La leggenda vuole che da quella famosa notte, il fantasma di Carlo Cavalcabò vaghi senza pace per i saloni del castello, per vendicarsi di quel delitto efferato commesso dal suo amico Cabrino Fondulo. Da allora, ogni 24 di luglio gli abitanti di Maccastorna aspettano il fantasma... Quando Filippo Maria Visconti divenne duca di Milano, volle ristabilire la sua autorità su tutto l’antico dominio visconteo; nel 1415 fece invadere il Cremonese, impadronendosi verso la fine del 1416 del castello di Maccastorna, del quale nel 1417 investì Galeotto Bevilacqua, appartenente alla nobile famiglia veronese che aveva già dominato su questo territorio. Il Fondulo assediato dal duca a Cremona, dovette venire a patti con lui, gli cedette la città per quarantamila ducati d’oro e si ritirò nel territorio di Castelleone dove rimase fino al 1424, quando essendo venuto in sospetto al duca, fu arrestato, trasportato a Milano e decapitato nell’anno 1425. Dal 1417 in poi, la rocca è sempre stata congiunta alle vicende della famiglia Bevilacqua, sia pure tra conflitti di guerra e contrasti giudiziari. Maccastorna passò alternativamente dall’uno all’altro belligerante ,finchè nel 1437 il duca di Milano ne rinnovò l’investitura a Galeotto Bevilacqua, conferendo al nobile veronese il titolo di conte di Maccastorna per se e per i suoi discendenti, e nel 1440 in segno di gratitudine verso l’immutata fedeltà di questa famiglia decretò in suo favore un nuovo privilegio di esenzione da ogni onere, dazio o gabella. Nei secoli successivi la rocca fu oggetto di accese diatribe familiari, e di dissidi fra la famiglia Bevilacqua e i nobili Trivulzio. Dalla fine del XVIII alla fine del XIX, i Bevilacqua conservarono la proprietà del castello. Durante la prima fase della guerra d’indipendenza nazionale, la rocca di Maccastorna fu asilo di combattenti e presidio di forze italiane, ciò che fu senza dubbio suggerito dalla robustezza delle sue mura e dalla sua eccezionale posizione strategica. Dopo il 1860, furono abbassati i torrioni dell’antica rocca, e demolite tutto intorno le mura e un’ala perché pericolanti a causa di un incendio. Nel 1882, il castello venne dichiarato monumento nazionale.

sabato 2 maggio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Castelnuovo Bocca d' Adda

Paesaggio


Il toponimo di Castelnuovo Bocca d'Adda rispecchia la sua posizione geografica: il territorio del paese si estende infatti dove l'Adda riversa le sue acque nel Po, anche se il nucleo abitato sorge alquanto a sud rispetto al punto di confluenza.Un tempo i campi, ora protetti dagli argini, erano periodicamente invasi dalle acque che straripavano dai due fiumi e che, nel ritirarsi, davano luogo a zone palustri. Pertanto, fin dal Medioevo, si impose la necessità di prosciugare le terre con opere di bonifica. Castelnuovo Bocca d'Adda sorge in una zona sicuramente emersa in antico dalla pianura sottostante, visto che prima del XII secolo il luogo, per le sue notevoli prerogative di difesa, fu fortificato.Luogo conteso durante i secoli fra le vicine città di Cremona e Piacenza per la sua singolare posizione strategica, incuneato com'è fra i due alvei dei fiumi, ebbe, pare, importanza notevole fin dall'epoca romana. Si tramanda che già i galli avessero intuito la possibilità di farne una zona militare e che i romani, dopo la fondazione di Cremona e di Piacenza, lo avessero fortificato e scelto come punto di riferimento per successive conquiste. Si sa inoltre che, fin da tempi antichissimi, qui esisteva un porto ove giungeva il sale, portato dai comacchiesi che risalivano il Po. Le notizie più dettagliate risalgono però ad epoche posteriori, quando, nel Medioevo, compaiono i primi documenti che testimoniano le vicende dell'abitato, ormai non più adibito alla sola funzione militare. Nel IX secolo le terre fra Adda e Po, secondo la narrazione degli storici lodigiani, furono donate all'abate di San Sisto di Piacenza, i cui successori le tennero anche durante i secoli seguenti. Nel 1139 compare il nome di Castelnuovo, toponimo significativo di una ricostruzione della fortezza , avvenuta in tempi che non conosciamo, ma che chiaramente ci suggerisce vicende travagliate, caratterizzanti la vita del paese per tutto il Medioevo. Il luogo che più tardi ebbe il nome di Castelnuovo Bocca d'Adda, si chiamava allora Isola di Roncarolo o Roncarolo semplicemente: e da allora, comincia il nuovo nome Castelnuovo, a cui si aggiunge l'attributo di Bocca d'Adda per distinguerlo da altri numerosissimi omonimi nelle diverse zone d'Italia.Alla fine del XII secolo, l'abate di San Sisto dovette cedere tutti i suoi diritti su Castelnuovo ai cremonesi , che provvidero a costruire una rocca più ampia della precedente, portandola a termine nel XIII secolo. Si ricordano numerosi scontri fra cremonesi e piacentini per il possesso del castello, a cui si intrecciarono i contrasti fra i diritti dell'abate di San Sisto e quelli del vescovo di Lodi. Fra le diverse distruzioni a cui fu soggetta la rocca, si ricorda quella avvenuta nel 1311 ad opera dei piacentini, quando essi espugnarono la fortezza tenuta da Cremona, che si era ribellata all'imperatore Enrico VII. Solo dopo pochi anni , nel 1314, Castelnuovo fu conquistato da Galeazzo Visconti;a questa famiglia il paese rimase durante il corso del secolo XIV, finché all'epoca di Bernabò Visconti la rocca fu nuovamente fortificata . Non cessarono però le contese che perdurarono anche nel XV secolo, quando il castello passò dapprima al Capitano di Ventura Cabrino Fondulo e fu poi ripreso dai Visconti. Il feudo faceva ormai definitivamente parte dei domini milanesi quando gli Sforza ne investirono dapprima Carlo Fiesco, poi il pavese Filippo degli Eustacchi e, nel 1492, il cremonese Marchesino Stanga , fedele al duca. Attraverso varie vicende la famiglia Stanga riuscì a mantenere il possesso fino alla soppressione dell'istituto dei feudi.Come luogo di confine degli Stati Parmensi, a Castelnuovo esisteva pure, a quei tempi, una Ricevitoria doganale.Gli Stanga lasciarono nel paese il segno della loro presenza, a partire dalla costruzione che si vede emergere(per chi viene dalla valle del Po) su tutto l'abitato, con una mole che richiama, nella sua vastità un'antica fortezza. E' il loro palazzo, nato dalla trasformazione settecentesca di una parte del precedente castello. Mentre il palazzo degli Stanga si presenta ancora ben leggibile sul corpo principale della fabbrica, i resti dell'antico castello sono in stato di grave degrado. Nonostante le continue manomissioni dovute ai diversi passaggi di proprietà, è tuttora possibile ammirare l'impronta scenografica dell'accesso al palazzo, posto fra due cortine murarie, su una delle quali sono inseriti tre ritratti rinascimentali (di profilo, in bassorilievo) di personaggi della famiglia; l'ingresso settecentesco, è fiancheggiato da due piccoli portali laterali, graziosamente decorati. Il corpo rettangolare del palazzo, risalente al 1705, con finestre ornate da una cornice superiormente sagomata, si profila alla destra dell'entrata; un colonnato costeggia il giardino nella zona posteriore, creando, insieme ad un muro traforato da aperture sagomate, un angolo suggestivo verso la campagna.In ogni angolo del paese, anche sulle facciate delle abitazioni è possibile imbattersi nello stemma degli Stanga, che hanno improntato dei loro fattivi interventi sia l'abitato sia le più importanti opere d'arte. A pochi passi dal palazzo si incontra la nobile costruzione cinquecentesca della cappella Stanga, annessa alla chiesa parrocchiale. Quest'ultima fu consacrata nel 1471 e dedicata a Maria Nascente; rimaneggiata nel 1761 (modifiche che le dettero l'aspetto attuale), restaurata ulteriormente nel nostro secolo, ora si presenta a una sola navata divisa in cinque campate, arricchita da pregevoli altari settecenteschi e da dipinti di buona fattura, fra i quali emerge una pala che raffigura la Madonna del Rosario, risalente al 1599.Sulla sinistra della chiesa si apre la cappella degli Stanga, di impianto ottagonale, caratterizzata, sia all'interno che all'esterno, da un fregio classico sormontato su ogni lato da "serliane" che conferiscono particolare luminosità all' ambiente. L'interno conserva pezzi di un certo pregio: un altare in scagliola, recante al centro lo stemma degli Stanga, un'icona lignea riccamente modulata e una pregevole fonte battesimale in pietra, del 1571, che si contraddistingue per la sobrietà delle linee. Non lontano dalla parrocchiale è ancora visibile, al centro del paese, l'ampia mole della chiesa di Santo Stefano, dalla facciata settecentesca, purtroppo ormai sconsacrata e adibita a magazzino.Un'altra piccola cappella, dedicata alla Madonna di Campagna, sorge isolata all'estremità del paese, lungo la via per Meleti.Nell'ottocento fu eletta dagli Stanga come loro cappella mortuaria ed è per questo che ancora oggi alle pareti sono apposte le lapidi funerarie di vari personaggi della famiglia.Sulla stessa via, un poco discoste dal paese, si dispongono le case della frazione di Sant'Antonio (l'unica di Castelnuovo Bocca d'Adda). Vi sorge un oratorio dedicato a S. Antonio Abate, risalente al XVII secolo. All'interno si conserva una pregevole statua in legno del Santo.Non si hanno più tracce delle chiese antichissime di S. Michele e S. Bartolomeo. Castelnuovo vantava un antichissimo ospedale intitolato a S. Mamerte, di cui si ignora l'origine, ma che, certamente fu posteriore al 1261. Allorché si trattò di incorporarlo nell'Ospedale Maggiore di Lodi, come avvenne di tutti gli altri Ospedali del Lodigiano.Nel paese si ha memoria di un'altro ospizio di monaci dell'ordine di S. Benedetto, soppresso nel 1782. L'antico convento è, ora, ridotto ad uso di abitazione civile: né si conserva altro che una piccola immagine della Vergine col Bambino, dipinta su un angolo del muro esterno di cinta; immagine per la quale il popolo nutre una speciale venerazione.

sabato 18 aprile 2009

I Comuni del basso lodigiano - Cavacurta

La Via principale


Cavacurta, trae il suo nome, sembra da un “cavo”, cioè un fossato realizzato nell’alto medioevo in questa zona per far defluire le acque della pianura verso il Po.Che la sua origine sia antica lo attesta il fatto che già nel 997 l’abitato era ricordato in un documento riguardante la donazione di alcune terre del lodigiano da parte di Ottone III a Rogero, suo fedele. Nel 1034 appartenne all’arcivescovo Ariberto d’Intimiano, che lo lasciò all’ospedale di Sant’Antonio di Milano, il quale a sua volta lo concesse in feudo a dei nobili milanesi. Alla fine del XII secolo era di proprietà della chiesa di Milano, che lo passò ai lodigiani, a patto però che venissero distrutte le fortificazioni di cui era stato munito il paese in una precedente contesa con Cremona. Nella seconda metà del XV secolo il luogo fu donato dai duchi di Milano alla famiglia Bevilacqua, che già possedeva non molto lontano il castello di Maccastorna; da questa fu poi trasmesso ai Trivulzio, che lo tennero per tutto il XVI secolo e fino agli ultimi decenni del XVII, quando Carlo II di Spagna ne investì i Castiglioni di Firenze, ai quali appartenne fino alla soppressione dei diritti feudali.

domenica 22 marzo 2009

I Comuni del basso lodigiano - Fombio


Il Castello Douglas Scotti

L'origine del suo toponimo pare si debba porre in relazione con la vicinanza del fiume Po, che, anticamente, giungeva quasi a lambire lo sperone sul quale tuttora sorge il castello. Dalla contrazione di "ad flumen Padum", sarebbe infatti derivato "Flumpum" o "Flumpo", poi Fombio.Anticamente ebbe una diversa denominazione, "Anfengo" nome di desinenza longobarda.Notizie su Fombio sono narrate dall'Agnelli, dal Corio e dal Goldaniga.Liutprando , re dei longobardi, che nel 723 aveva fondato a Pavia il celebre monastero di San Pietro in Ciel d'Oro, cedette a questo molti beni, fra cui Fombio.La prima chiesa di Fombio, dedicata a San Colombano, era fabbricata, secondo il Goldaniga, fuori dell'abitato, in una località tra San Fiorano e Retegno.Nel 1027, l'imperatore Corrado, confermò al monastero pavese, il castello, con il territorio e le chiese di Fombio; nel 1033, riconfermò i relativi beni.Il luogo di "Flumpo", è accennato tra le proprietà vescovili in un documento del 1164, con il quale l'imperatore Federico Barbarossa prende sotto la sua protezione Alberico, vescovo di Lodi, e la chiesa lodigiana.L'anno 1225 segna la fine della dipendenza di Fombio dal monastero di San Pietro in Ciel d'Oro. Per risollevare le sorti finanziarie del monastero , Papa Gregorio IX indusse il vescovo di Piacenza di occuparsi della vendita di una delle proprietà annesse. Il vescovo, che ambiva ad estendere la propria giurisdizione al di là del Po, trovò subito un acquirente nel comune della propria città; così Fombio venne separato dalla diocesi di Lodi, e ceduto, con il castello, i terreni, le acque, i boschi, i diritti di caccia e di pesca e i vassalli al comune di Piacenza, e precisamente al Podestà Guido Landriano.Per la sua particolare posizione di confine, il territorio di Fombio fu spesso causa di controversie fra Piacenza e Lodi, soprattutto per l'attraversamento del fiume Lambro, al quale i lodigiani si opponevano. A quell'epoca esso sfociava nel Po, sette chilometri a valle di Piacenza; la vertenza giudiziaria si concluse con lo spostamento della foce più a monte di Piacenza, ossia nel luogo di Corte S. Andrea.Nel 1299, Alberto Scotti, signore di Piacenza, fu investito dal Comune, della proprietà di Fombio: uno degli obblighi del infeudato era che dovesse erigere un castello, dove potessero trovare ricovero gli abitanti in caso di guerra. Il castello costruito dallo Scotti, è quello che, in buona parte, esiste tuttora e che domina la pianura verso Piacenza.Un precedente castello, noto come il "castellazzo",sorgeva invece a nord del paese; di esso restano solo dei ruderi presso un cascinale verso Codogno.Il castello di Fombio, fu testimone di molte vicende belliche, nel quadro delle lotte fra guelfi e ghibellini. Nel 1314, Galeazzo Visconti, signore di Piacenza, temendo che la città venisse presa dai guelfi stanziati a Fombio, si impossessò della rocca con parte del suo esercito, la incendiò e fece prigionieri gli abitanti.Nel corso del 1500 gli Scotti furono più volte in disaccordo anche con i milanesi Trivulzio, conti di Retegno. A pochissima distanza l'uno dall'altro i due feudi di Fombio e di Retegno vissero travagliate vicende, in un continuo susseguirsi di interferenze, di sgarbi e di ripicche reciproche. Anche durante i secoli XVII e XVIII la rocca di Fombio fu protagonista di azioni guerresche. Guardamiglio e Fombio costituirono i campi di battaglia per i primi combattimenti delle forze repubblicane francesi contro gli austriaci in Lombardia.Nel 1797, essendo proclamata la Repubblica Cisalpina, Fombio e tutti gli altri comuni posti sulla sinistra del Po furono uniti al lodigiano. La parrocchia però rimase alla diocesi di Piacenza fino al 1819, dopo di che entrò anch'essa a far parte del territorio lodigiano.Importante in Fombio la frazione di Retegno, che appartenne ai Trivulzio.Retegno vanta una propria storia di comunità autonoma. L'origine del suo nome sarebbe da collegarsi all'usanza dei pescatori del luogo di stendere una gran quantità di reti ad asciugare al sole. Il promontorio da essi abitato sorgeva sulle rive del lago Barilli o Lambrello, ed era circondato da vaste paludi, che isolavano e difendevano naturalmente il luogo, tanto da farne il rifugio preferito di banditi e malviventi provenienti da altre terre, che si nascondevano fra gli originari e pacifici pescatori.

sabato 14 marzo 2009

I Comuni del basso lodigiano - Cornovecchio


Cascina Castellina


Piccolo e ridente comune in mezzo alla campagna, dominante da una costa il bacino del Po, deve il suo nome appunto al “corno” del fiume, che molti secoli or sono lambiva queste rive formando una profonda ansa. Cornovecchio vanta origini antiche, comprovate da autorevoli fonti. Sappiamo da cronisti lodigiani che il vescovo di Milano Sant’Ambrogio mandò a predicare il cristianesimo in questo triangolo di terra posto fra l’ultimo tratto dell’Adda ed il Po, dove un tempo sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, e che questo tempio pagano fu convertito in chiesa e dedicato a San Fedele. Il luogo si chiamava allora Villafranca. Durante le invasioni dei goti, Teodorico lo saccheggiò ed il Po completò la distruzione con le sue inondazioni. L’imperatore Ludovico II nell’anno 825 riedificò una chiesa in questo territorio, denominato Ripalta, e la volle dedicata al protomartire Santo Stefano, assegnandone benefici notevoli, fra cui il diritto di riscuotere le decime e la metà dei proventi del porto sul Po, detto allora “Portodurium”. C’è però chi sostiene che il porto non si trovasse sul Po, ma sul cosiddetto “Mare Gerundo”, un lago ampio e paludoso che si estendeva nel bacino dell’Adda, da cui emergevano delle alture.Le vicende successive di Ripalta e del suo castello furono assai tumultuose, proprio per la posizione strategicamente importante fra il Piacentino ed il Cremonese; i milanesi fortificarono la rocca per opporsi al Barbarossa ed ai cremonesi suoi alleati, ma l’imperatore la mise a ferro e fuoco, punendo i difensori ribelli col taglio della mano. Conteso ripetutamente fra Milano, Cremona, Piacenza e Lodi, Cornovecchio passò di feudatario in feudatario nel corso dei secoli XII e XIII: la famiglia che lo possedette più a lungo fu quella dei Tresseni, finche nel 1385 Gian Galeazzo Visconti lo concesse ai Bevilacqua, proprietari fino al 1782 della cosiddetta contea di Maccastorna, comprendente anche Lardera, Corno Giovine e Mezzano.Tanto fragore di vicende armate non poteva non lasciar traccia anche sulla popolazione, che cadde in tale stato di povertà da non potere più nemmeno mantenere con le elemosine la chiesa, che pertanto fu lasciata per qualche tempo in abbandono. Nel 1772 fu ricostruita ed ampliata con il contributo dei più ricchi proprietari terrieri della zona ed ebbe l’armonioso aspetto settecentesco che tuttora conserva. Dedicata alla purificazione di Maria, all’interno è stata di recente affrescata dal pittore Cesare Minestra. Notevole il fonte battesimale risalente al cinquecento ed una bella statua della Vergine, collocatavi nel 1750.Da “corno” trassero il nome alcune famiglia originarie del paese che vissero in Cremona e Lodi: tra i cremonesi un Giovanni de Cornu, ambasciatore della sua città presso Mantova, tra i lodigiani un Alberto del Corno, che fu vescovo dal 1174 al 1189, Ambrogio del Corno, vescovo nel 1218 e Ivano del Corno, valoroso capitano al servizio dei Visconti in Piacenza.

domenica 22 febbraio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Graffignana


Cascina Porchirola


Il comune di Graffignana sorge sulla riva destra del Lambro, in un territorio in gran parte pianeggiante, ma che al suo confine meridionale diventa lievemente ondulato con le colline di San Colombano.Vi si trovano ricchi strati fossiliferi, che ne denunciano l’origine marina, da un atollo corallino sorto durante il Pliocene e ricoperto dopo il ritiro delle acque di materiale di fluitazione: argille, sabbie, ciottoli. Lo strato superficiale è costituito da una miscela di sabbie finissime e calcaree, che permette con successo la coltivazione della vite. Graffignana va fiera della propria produzione vinicola ( per lo più in piccoli poderi a conduzione familiare), per la quale è stata ottenuta la Denominazione di Origine Controllata.
I primi abitatori di questa zona, celti, liguri, umbri, etruschi, scelsero forse di stanziarvisi proprio per sfruttare la fertilità della terra, particolarmente adatta a produrre un ottimo vino. Alcuni ritengono che il nome di Graffignana sia di origine romana: sarebbe da collegare a “Corfiniana”, a sua volta derivante da “Corfinius”, proprietario latino del territorio. Altri invece suppongono che il nome sia più tardo, e di eredità longobarda: la “Gaifaniana Langobardorum” citata in documenti del XI secolo. Comunque qualche ulteriore ed interessante informazione sulle origini del paese ci viene dagli scavi, che si effettuarono nella zona collinare soprattutto verso la fine del secolo scorso e nei primi decenni del’900.
Studiosi, archeologi, paleontologi, spesso dietro segnalazione dei contadini, rinvennero in località Ronchi, verso Miradolo, una tomba romana formata da tavelloni, contenente tre grandi urne cinerarie, monete e ossa combuste; resti di sepolture gallo-romane furono scoperti anche alla Cascina Porchirola e a Valle Lambrana, presso San Colombano. Il primo documento scritto che riporta il nome “Gaifiniana” è un atto dotale della prima metà del X secolo: la bella principessa Adelaide, figlia di re Rodolfo, andando sposa a Lotario II re d’Italia, ne riceveva in dono la “Curtis Ollona” (Corteolona) con tutte le sue spettanze, fra cui Graffignana. Sposatasi una seconda volta con l’imperatore Ottone I, Adelaide regalò Graffignana al monastero pavese di San Salvatore. Assieme ad altri paesi vicini, nel 1034. Graffignana passa poi all’arcivescovo di Milano Ariberto d’Intimiano. Durante le lotte fra Federico Barbarossa e i comuni lombardi, Graffignana fu teatro di un tentativo (fallito) di riappacificazione fra le due parti. Distrutta per due volte Lodi dai milanesi, distrutta anche Milano dall’imperatore con i lodigiani alleati, i comuni lombardi si uniscono nella lega di Pontida, ma prima tentano un accordo per scongiurare lo scontro frontale: è il convegno di Graffignana del 1176; le parti non raggiungono un’intesa e scoppia la guerra che a Legnano si concluderà con la sconfitta e l’umiliazione dell’Hohenstaufen. In seguito il nuovo vescovo di Milano Giovanni Visconti, investe dei beni di Graffignana alcuni feudatari minori. La signoria dei Visconti mantiene dunque sul paese il proprio dominio, finchè il più famoso di questi, Gian Galeazzo decide di regalare Graffignana, San Colombano, Porchirola, Vimagano e Campo San Salvatore alla “fabbrica della Certosa di Pavia “: la magnifica chiesa, voluta quale sontuoso mausoleo sepolcrale dal duca, iniziata nel 1396. Incomincia così l’appartenenza di Graffignana ai certosini, che, salvo qualche brevissima interruzione, lo terranno per quattro secoli, fino al 1782. I certosini abili agricoltori, esperti in tecniche di irrigazione e bonifiche d’avanguardia, diedero un assetto esemplare a queste terre, ed in segno di riconoscenza lo stemma comunale di Graffignana reca il moto antico della Certosa di Pavia “GRA CAR”, che significa “Gratiarum Cartusiae”, ovvero Certosa delle Grazie (come è noto tutte le Certose sono infatti dedicate alla Madonna delle Grazie). Nel 1782 Giuseppe II d’Austria toglie il feudo ai certosini e lo concede al principe Lodovico Belgioioso, suo ministro plenipotenziario nei Paesi Bassi, per ricompensarlo dei suoi servigi, ma l’investitura dura poco tempo, perché nel 1792 i feudi vengono soppressi. La storia risorgimentale ricorda un valoroso bersagliere di Graffignana, Bianchi Costante, che disertò per unirsi a Garibaldi nel 1862, ma venne fucilato in Sicilia.

sabato 14 febbraio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Meleti

Molino di Sotto

Meleti è un piccolo comune situato proprio alla punta estrema della cosiddetta "mezza luna", cioè la parte del lodigiano che si affaccia sull'Adda, dove è prossimo il suo sbocco nel Po. Il paesaggio è ubertoso, ricco di filari di pioppi, di rogge e di colatori.Interessante la mappa che l'ingegnere Paolo Bolzoni disegnò nel 1587 per il principe Ranuccio Farnese, in cui viene tratteggiato il corso del Po, dal castello di Arena fino a Castel Nuovo Bocca d'Adda: in essa si osserva come il fiume formasse una profonda ansa, che saliva fino a lambire Santo Stefano Lodigiano, Corno Giovine e Corno Vecchio; ansa che i conti Landi fecero tagliare con un canale fra il 1590 e il 1601, per evitare lunghi giri alla navigazione fluviale e ridurre i danni delle inondazioni negli abitati. In questa mappa figura anche il "castrum Meliti agri laudensis", appena al di là del quale iniziava la circoscrizione di Cremona.Proprio accanto al paese, inoltre si trovava un lago( ed esistette fino agli anni quaranta), del quale si ha menzione fin dal 1192. Si crede si fosse formato dalle acque del Po e dell'Adda straripate in occasione di qualche inondazione. Secondo le narrazioni dell'Agnelli in mezzo a questo lago, alla profondità di circa un metro, si conservò una pianta di gelso di grosso fusto la quale pare abbia resistito all'impeto delle onde che formarono il lago.Il lago venne denominato Boytano dal celebre americano Paul Boyton che nel 1876 qui fece esperimenti di immersione con un nuovo tipo di sommergibile da lui ideato. Oggi il lago è scomparso e sul suo fondo verdeggiano gli alberi del grande Parco dell'ottocentesca Villa Gattoni. Tra Meleti e Caselle Landi vi sono tracce di una grande palude, ormai prosciugata detta " Po morto".Il paese ed il suo territorio soffrirono molto per le inondazioni del 1705, nel quale venne insabbiata gran parte delle sue campagne; del 1801 in cui il paese fu tutto circondato dalle acque; in quelle del 2 e 3 novembre 1857, del 6 e 7 ottobre 1868 e del settembre 1882.Il nome Meleti è secondo l'Agnelli di origine umbra: diverse altre località, più o meno importanti e sparse specialmente nell'Italia meridionale ed in Sicilia, portano lo stesso nome. Da altri documenti pare piuttosto che Meleti significhi semplicemente " posto delle mele " e alluda pertanto alla fertilità della terra, che produce abbondanti frutti: un nome non inconsueto, che ricorre fra l'altro, con varianti, anche in Toscana, nel Trentino e nel Veneto. I ritrovamenti archeologici confermano che la zona del corso inferiore dell'Adda e intorno alla foce fu abitata in epoca assai remota: nel 1887 vennero scoperte 16 asce in bronzo e 6 collane pure bronzee del I millennio A.C.; quindi un elmo bronzeo, classificato come "etrusco-gallico" e conservato presso il museo di Cremona. Anche qui abitarono i galli e forse fu proprio partendo da quelle terre che i romani iniziarono la loro penetrazione nel nord. Tracce di sepolture gallo-romane documentano la presenza di borgate e villaggi, che dovevano essere popolosi: lo storico Giovanni Agnelli anzi ipotizza che nei pressi di Meleti sorgesse la romana Accera, distrutta sulla fine del IV secolo dal fiume, o dal fuoco delle invasioni barbariche, e vi collega la scoperta di un vasto cimitero pagano, nel quale ogni cadavere teneva ancora in bocca una moneta, per pagare il pedaggio a Caronte. Queste monete erano quasi sempre di rame, talvolta d'argento e più raramente d'oro, e quasi esclusivamente dei tempi di Costantino Magno.Gli abitanti di Meleti hanno denominato quelle tombe "i morti di Santa Giulitta" perché lì si trova appunto una chiesa dedicata ai SS. Quirico e Giulitta.In età medioevale si rinvengono numerose citazioni del paese in cronache e raccolte di codici: la località compare come appartenente al monastero di San Sisto di Piacenza, fondato dall'imperatrice Angelberga e da lei dotato per testamento, nell'anno 887, di molti beni. Dopo il Mille, l'imperatore Enrico IV confermò tale proprietà, ma nel periodo comunale incominciarono a sorgere contese fra il monastero di S. Sisto ed i comuni di Piacenza e di Cremona; quest'ultima, dopo vari passaggi di mano e acquisti seguiti da nuove cessioni, nel 1234 se ne assicurò il possesso. Però c'erano anche i lodigiani, che non potevano fare a meno di rivendicare questa fascia al confine meridionale del loro territorio.Nel XIV secolo un Visconti figlio di Luchino, Bruzzo, si fece investire dal vescovo di Lodi del feudo di Meleti, arrogandosi anche il diritto di investire altri di questi beni: così nel 1391 Gian Galeazzo Visconti li concesse a Guglielmo Bevilacqua, suo fedele, insieme al castello di Maccastorna e ad altri poderi. Nel XV secolo i Visconti vendettero il feudo ai fratelli Teodoro e Luigi Bossi.

sabato 31 gennaio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Senna Lodigiana


Panoramica


E' comune posto alla sinistra del Po, in un terreno fertilissimo. Anticamente nei pressi dell'attuale Senna, pare esistesse una città romana denominata "Quadrata Padana", un'importante località lungo la strada che univa Piacenza a Milano e che in questo punto intersecava la Romea verso Milano e la Regina verso Pavia. Forse questo insediamento un tempo era abitato dai galli, sottomessi dai romani nel 222 a.C. e in seguito venne cancellato dalle inondazioni del Po e dalle invasioni barbariche. Durante lavori di livellamento di terreni agricoli verso la fine del secolo scorso, furono rinvenuti resti di "Quadrata": pietre con iscrizioni, monete, urne cinerarie, ossa di uomini e animali. Visitando l'antica "Curtis Senna", e precisamente lo scomparso "castellazzo", è facile trovare massi di svariata grandezza e forma, quasi tutti di provenienza orientale.Senna rivestì una notevole importanza in epoca medioevale, grazie alla sua posizione sul tratto inferiore del Lambro, che costituiva la principale via d'acqua per Milano, e alla presenza del "portus mediolanensis", ricavato in un'insenatura dell'antico corso del Po. La navigazione sul Lambro decadde però dopo il 1237, quando la sua confluenza nel Po si spostò più a monte, lasciando diverse aree paludose sul letto fluviale ormai morto.Il paese appare per la prima volta come corte regia durante l'impero carolingio.Dopo il mille, Senna si trovò al centro degli scontri tra milanesi, piacentini, lodigiani e Federico Barbarossa. Signori del borgo, sul principio del secolo, furono i Capitanei di Cuzigo, feudatari del vescovo Bongiovanni Fissiraga, che nel 1252 li privò dei loro diritti per aver sostenuto l'imperatore Federico II; ad essi subentrarono i conti Palatini di Lodi. Senna aveva anche un ospedale, chiamato di San Pietro e tenuto dai Benedettini (o monaci neri), cioè un ospizio per i pellegrini diretti a Roma o in Terrasanta; da esso derivò, il vicino monastero di Ospitaletto, che fu eretto dai Gerolamini e si rese successivamente indipendente dalla Pieve di Senna.A Senna esisteva un monastero di monache cisterensi, il quale nella prima metà del secolo XV, venne incorporato con quello di Santa Maria di Gallilea di Piacenza. Durante la guerra di successione per lo stato di Milano, il monastero e il castello di Senna furono distrutti, e le monache si rifugiarono a Piacenza. Alcuni potenti del tempo, approfittando dell'allontanamento delle religiose, che nella confusione dei tempi avevano perso i documenti comprovanti i loro possedimenti, si impadronirono di gran parte dei beni del monastero. Sisto IV, nel 1475, ordinò che quei beni fossero restituiti al monastero di Senna, ad eccezione della chiesa annessa, che poteva convertirsi ad uso pubblico.Nel XIII secolo Senna passò di proprietà ai Visconti, che concessero diritti su queste terre ai Conti Cavazzi della Somaglia, in compenso del loro appoggio contro Piacenza e Lodi, ma pare che per qualche tempo vi abbia dominato il Caramagnola. Francesco Sforza tolse il feudo a quest'ultimo e lo restituì nuovamente ai Cavazzi. Vi fu un breve periodo di pace verso la fine del 1400, funestato però da pestilenze e calamità naturali. Nel 1500 ripresero i passaggi di armate: prima i francesi di Francesco I, quindi gli spagnoli.Gli eserciti austriaci e francesi, ma soprattutto quello austro-russo, compirono saccheggi e violenze verso gli abitanti di Senna, gli austriaci rasero al suolo quanto ancora restava del castello.Un evento singolare riferito dalle cronache locali, fu la comparsa nella zona, di branchi di lupi, discesi dall'appennino piacentino, di conseguenza si intraprese una caccia generale agli animali, ma anche ai banditi, piaga di questi boschi. Un importante ritrovamento in questa zona fu quello di una testa di uro (bisoneuropoeus), il più grande fra i mammiferi terrestri d'Europa, oriundo delle steppe russe, ed evidentemente giunto fin qui con i barbari. All'inizio del novecento e durante il periodo fascista l'agricoltura fu molto incrementata: assai lungimirante fu la realizzazione di un impianto per la produzione di gas metano biologico derivante dal letame e dai liquami del bestiame bovino ed equino, attuato per la prima volta in un'azienda agricola locale nel 1939.

domenica 18 gennaio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Turano Lodigiano


Il Palazzo Calderari


E' comune situato a poco più d'un miglio dalla destra dell'Adda e vicino al colatore Muzza. Il nome del paese, che nei documenti antichi compare come "Turranum" o "Taurianum" o "Tuiranum", è stato ricollegato con "Turris amnis", forilizio o torrione dominante l'Adda e la vasta distesa paludosa del Lago Gerundo. La chiesa sorgerebbe appunto sulle fondamenta di quella fortezza.Il luogo fu abitato fin dall'età romana e lo storico Ludovico Chiesa racconta che vi sostò San Siro. Poco prima del mille il Castello di Turano, che apparteneva al nobile lodigiano Pietro Sommariva, fu distrutto dagli Ungheri. Il Sommariva vendette quel che restava del Castello alla illustre famiglia Vignati, dalla quale nacque Giovanni Vignati, famoso signore di Lodi e Piacenza.Turano restò ai Vignati fino al 1499, quando il re di Francia Luigi XII, divenuto signore di Milano dopo Ludovico il Moro ne investì il Conte Lorenzo Mozzanica, senza però privare del tutto i Vignati dei privilegi e delle rendite di cui godevano. Il Conte Mozzanica, che viveva a Turano, dimostrò in più occasioni la propria fedeltà ai francesi e la propria munificenza, sia nello splendido palazzo di Lodi sia in Turano stesso, dove abbellì la chiesa di Santa Maria Assunta e fondò il Monastero di San Lorenzo.Dopo i Mozzanica tennero il feudo di Turano i Modignani, quindi i Visconti, i Cadamosto e, dal 1675, i Calderari, questi vi soggiornarono fino all'estinzione dei feudi e fecero erigere sull'areadell'antico Castello una villa sontuosa celebrata anche dai poeti milanesi del tempo.

martedì 13 gennaio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Villanova del Sillaro

La facciata della chiesa parrocchiale dei SS. Angelo e Nicolò


E' comune posto sul Sillaro (affluente del Lambro) a breve distanza dal Lambro stesso, in un territorio ben irrigato e fertilissimo. La prima parte del toponimo di questo comune è uno dei termini più diffusi e denota l'origine del borgo da un podere romano; la specificazione deriva invece dal Sillaro o Sìllero, modesto fiumicello che lo attraversa, un tempo assai più ricco di acque. Le vicende di Villanova del Sillaro furono legate a quelle della potente casata lodigiana dei Sommariva, che fin dal secolo XII l'ebbero in feudo per conto del Capitolo Metropolitano di Milano. Guelfi e capi del partito popolare, essi furono invisi all'imperatore Federico III, che li mise al bando, relegandoli nelle lontane Puglie, mentre nel frattempo in Lodi prevalevano gli Overgnaghi, ghibellini e capi del partito dei nobili. I Sommariva entrarono quindi al servizio della corte pontificia e nel secolo XV Nicolò Sommariva ricoprì incarichi di ambasciatore per Papa Urbano e per Bonifacio IX. Egli lasciò erede di tutti i suoi beni il cardinale Angelo, suo fratello, con l'onere di fabbricare nel suo castello di Villanova una chiesa dedicata ai Santi Angelo e Nicolò, con annesso monastero per almeno 10 monaci. Nel 1424 il cardinale diede inizio alla costruzione, che fu ceduta nel 1427 ai monaci Olivetani. Il primo priore del convento di Villanova fu fra' Francesco da Piacenza, il quale completò l'edificazione della chiesa avvalendosi dell'opera di due architetti villanovesi, Ambrogio e Giovanni Fugazza, che la ultimarono nel 1480. I lavori del convento invece si protrassero fin oltre il 1500, sotto la direzione di Ambrogio e Battista Fugazza, nipoti dei primi. L'importante complesso monastico venne consacrato dal vescovo di Lodi Carlo Pallavicino il 29 aprile 1496. La sua esistenza, secondo quanto riferisce lo storico Defendente di Lodi, fu assai travagliata durante il XVI e XVII secolo dal passaggio di vari eserciti (francesi e spagnoli) che, dopo aver occupato le celle dei frati, devastavano e depredavano ogni cosa. Malgrado ciò il numero dei monaci saliva nel 1608 da 20 a 30 ed il tempio veniva anche abbellito di opere d'arte, come il pregevolissimo coro ligneo di Carlo Garavaglia. Oltre al saccheggio vi fu poi carestia e pestilenza, e Villanova con tutto il territorio ne ebbe terribili conseguenze. Merita di essere ricordata la fondazione di una scuola per sordomuti, istituita nel 1832 da Giuseppe Minoia, un generoso quanto modesto villanovese a sua volta sordomuto, che dedicò tutta la sua esistenza alla rieducazione alla parola dei bambini audiolesi. L'istituzione confluì in seguito nel Centro di San Gualtero frazione di Lodi. Fanno parte del comune anche le frazioni di Bargano e di Monticelli. Importante la frazione di Bargano è posta sulla sinistra del Lambro in posizione vantaggiosissima. Il nome deriverebbe da "Vargo" cambiato in "Bargo", parola celtica che significherebbe apertura. Infatti, da un documento del 1309 risulta che i ronchi di Bargano si estendevano su ambo le rive del Lambro. Nel 1344 si ha menzione di un lago a monte di Bargano denominato Faysa; e nel 1360 se ne ha notizia di un altro detto Comnello. A Bargano vi fu un castello, molto anteriormente al mille, probabilmente distrutto nelle incursioni ungariche.

domenica 4 gennaio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Caselle Landi

Castello Landi


E' comune posto sulla sponda sinistra del Po. Caselle esisteva già nel X secolo, poiché era menzionato in un documento del '997, dal quale si apprende che Ottone III donò a Roggero, suo fedele, il paese insieme ad altre terre della zona. Questo luogo una volta era detto Caselle Po (1737) ed era costituito da poche case sulla riva destra del Po, in territorio piacentino.Il fiume, durante le sue inondazioni, variava continuamente il suo corso, lasciando scoperti dei territori ghiaiosi, sommergendo i terreni coltivati e distruggendo il lavoro dell'uomo. Molte frazioni del resto, evocano ancora tali vicende, con i loro significativi nomi di Gerre, Gerrone, Isola, Vallazza.Il marchese Oberto Pallavicino aveva donato a Umbertino Landi, nel 1257 i diritti sui pedaggi del Po insieme ad alcune terre del contado fra le quali Caselle Po, che egli stesso aveva ricevuto dai Piacentini in segno di gratitudine per aver difeso la città minacciata dai milanesi.Nel 1262 al Conte Umbertino Landi vennero affidate definitivamente le terre di Caselle.Nel 1593, Cristoforo e Manfredo Landi decisero di deviare il corso del fiume e incaricarono del progetto l'ingegnere bolognese Scipione Dattari.In questo modo venne eliminata l'ansa superiore e Caselle passò dalla sponda destra, piacentina, a quella sinistra, lombarda.In seguito tutta la zona paludosa venne bonificata. L'antico corso del fiume è ancora oggi ricordato con il nome di "Po morto".Questa nuova conformazione territoriale portò Caselle, che era un comune del ducato di Parma e Piacenza, a trovarsi, di fatto, nel territorio del milanese e quindi continuamente conteso tra i due stati.Nel 1797, durante la Repubblica Cisalpina, il Comune di Caselle assieme ad altri comuni posti sulla riva sinistra del Po furono uniti al territorio del lodigiano, ecclesiasticamente, però, queste parrocchie continuarono ad appartenere alla diocesi di Piacenza fino al 1820, quando passarono alla diocesi di Lodi.Con l'affermazione del potere napoleonico furono soppressi i diritti feudali, e di conseguenza anche quelli della famiglia Landi. Da allora, in memoria degli antichi feudatari il paese fu chiamato Caselle Landi.

domenica 28 dicembre 2008

I Comuni del basso lodigiano - Santo Stefano Lodigiano


Panorama



E' comune posto alle estreme propaggini meridionali della pianura lodigiana, ubicato sulla riva sinistra del Po; ebbe la denominazione di Santo Stefano al Corno fino al 1916, anno in cui fu sostituita con l'attributo più generico di "lodigiano". Anticamente la località sorse su un rialzo del terreno; riparo naturale dalle frequenti piene del grande fiume, il cui corso mutò profondamente nei secoli.Le cronache locali tramandano l'esistenza di un nucleo primitivo detto Villafranca, di cui pare facessero parte, insieme a Santo Stefano, anche i comuni di Cornovecchio e Corno Giovine. Villafranca è ricordata dal nome della cascina Franca; sembra che anticamente vi passasse la strada Emilia che da Piacenza conduceva a Milano e che questo posto fosse una specie di porto franco per la sicurezza dei viandanti. L'aggettivo Franca potrebbe anche riferirsi a località extra feudali (castelli, terre, casali) sottratte alla giurisdizione di Conti e Baroni, o derivare dagli antichi privilegi concessi in questi luoghi. Sembra anche che qui sorgesse un porto, con traghetto per uomini e merci e che vi esistesse un tempio dedicato ad Apollo, trasformato con l'avvento del cristianesimo in chiesa dedicata a San Fedele.Una seconda evangelizzazione avvenne nel secolo IV ad opera di Ilario, sacerdote inviato da Sant'Ambrogio. La chiesa e il villaggio subirono le incursioni barbariche e le rovinose inondazioni del fiume, che li distrussero più volte.E' dell'825 la concessione di diritti e decime fatta dall'imperatore Lodovico II alla chiesa di Ripa Alte, che si suppone fosse nei pressi dell'attuale Cornovecchio e che fu dedicata a Santo Stefano Protomartire.Risale al 1009 la fondazione dell'abbazia di Santo Stefano al Corno, per volontà di Anselda Contessa di Ghisalba e dei suoi tre figli, dietro consiglio del vescovo di Lodi Nocherio. Essi la affidarono ai monaci Benedettini; la dotarono del castello che fu mutato in chiostro, della loro villa adiacente e di molti altri beni. Papa Pasquale II confermò nel 1106 i privilegi e la dote assegnata al monastero che veniva posto sotto la protezione della santa sede. L'antica ubicazione dell'abbazia non è certa, mentre si hanno notizie della grande floridezza alla quale assurse riscuotendo tributi dalle terre circostanti e dalle chiese piacentine, e fruendo anche di continue donazioni. Il dominio dell'abbazia durò quasi 800 anni, caratterizzati dall'alternanza di ordini monastici, di abati e commendatari. Fra i commendatari troviamo il cardinale Scaramuccia Trivulzio, suo fratello Antonio e suo nipote Catalano, tutti e tre attivi in opere di edilizia e bonifica. Ai Trivulzio succedette il cardinale Carlo Borromeo, il quale, coerente ai suoi principi rinunciò al beneficio. A lui succedette il cardinale Michele Bonelli, poi il cardinale Scipione Borghese. Ai Borghese seguirono i Donghi, quindi Ferdinando D'Adda, il vescovo di Lodi Carlo Ambrogio Mezzabarba, Giorgio Doria, e ultimo Giuseppe Castelli; in seguito i Circensi abbandonarono l'abbazia, che fu venduta in pubblica asta nel 1797. Passato di mano in mano, il complesso abbaziale, già vasto e ricco di storia, fu trasformato in cascinale, in magazzino, in abitazioni coloniche e smantellato in più parti, compresa la chiesa.

sabato 20 dicembre 2008

I Comuni del basso lodigiano - Camairago


Castello Borromeo


Comune situato alla destra dell'Adda, ad Est di Casalpusterlengo. Anticamente era sulla strada romana che, da Cremona, per Acerra, costeggiando l'Adda, metteva a Laus Pompeia. Camairago affonda le sue origini, sembra in epoca medioevale: a meno che non si debba considerare valida la tesi che il toponimo, uscente interminazione celtica, indichi radici ancora più remote.Fin dal 972, il vescovo Andrea aveva donato le decime di Camairago, unitamente a quelle di molti altri luoghi della sua Diocesi al monastero di S. Pietro di Lodivecchio.Camairago si trova compreso tra i beni posseduti e quindi lasciati dall'Arcivescovo Ariberto d'Intimiano (1034) a diverse chiese milanesi.Il Conte Ildebrando da Comazzo, il 23 Dicembre 1039, donò molti beni al monastero di S. Vito da lui fondato, tra i quali la curte qui vocatur Camairaco nella quale sorgeva il monastero stesso. L'anno 1158, i Milanesi, inseguendo i Lodigiani dopo la totale rovina della loro città incendiarono il Castello di Camairago. L'anno 1440 (20 Settembre), Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, per rimunerare il conte Vitaliano Borromeo che nelle passate guerre gli aveva fatte molte sovvenzioni in denaro, gli concesse in feudo il paese di Camairago unitamente alla frazione di S. Vito, con facoltà di fortificare il paese. Dieci anni più tardi ( 5 Maggio 1450), Francesco Sforza, Duca di Milano, confermò lo stesso feudo, con gli euguali diritti, nel conte Filippo Borromeo. Era opportuno, quindi, che i nuovi feudatari del paese intraprendessero quelle opere di ricostruzione del Castello che portarono all'erezione di un vasto edificio, di impianto quattrocentesco, che ancora oggi sussiste in molte parti pressocchè intatto e imponente nella sua vastità, e che domina il restante tessuto dell'abitato. La storia ci narra delle varie e alterne vicende cui dovettero sottostare gli abitanti del luogo, sempre caratterizzate dalla nota dominante della guerra, delle incursioni, degli accampamenti militari, dei saccheggi, dalla peste che scoppiò in Camairago il 1 Settembre 1460, (primo caso di peste), che poi fece strage nel codognese e anche a Lodi; dal passaggio di Francesco Sforza che nel 1447 qui sconfisse i veneziani; all'occupazione francese del 1509; al passaggio dei lanzichenecchi nel 1629: è un ripetersi per gli infelici abitanti di fatti luttuosi e di sventure.Nel 1848, all'alba della riscossa italiana, si stabilirà qui il quartiere generale del maresciallo Radetzky; ma oramai sono giunti i tempi in cui anche questo territorio entrerà a far parte della storia del Regno d'Italia e più nessuna vicenda particolare caratterizzerà la vita del piccolo comune. Il castello, che fu ed è tuttora della nobile famiglia Borromeo, ci appare all'ingresso pressocchè intatto, anche se spesso in vari punti è evidente il segno di un restauro. La torre che precede l'entrata testimonia l'antica presenza di un ponte e di una passerella levatoi, ma soprattutto spicca per la sua posizione avanzata rispetto alla cortina muraria, a mò di rivellino. Il vasto cortile interno, rettangolare, è scandito in varie parti da arcate a sesto acuto; all'esterno alcune torri angolari rimandano all'impronta di severa costruzione militare che dovette caratterizzare tutto il complesso, ora invece quieta dimora inserita in un contesto agricolo.Al centro del paese si apre un ampio piazzale dominato dalla mole recentissima della parrocchiale dei SS. Cosma e Damiano, ricostruita, sulle rovine della precedente, fra il 1959 e il 1962 su progetto dell'architetto Tamburini di Trieste. Ad una sola navata, affiancata da cappelle laterali, si anima di una completa decorazione pittorica sulla volta e nell'abside, dovuta al pennello del pittore lodigiano Felice Vanelli, che ripercorre i momenti fondamentali dell'uomo attraverso la vita e la passione del Cristo. Un poco discosto dall'abitato e visibile soltanto se si percorre una stradicciola di campagna, nel punto in cui la costa si abbassa verso il pianoro dell'Adda, un santuario dedicato alla Madonna della Fontana ricorda antichi fatti miracolosi occorsi accanto ad una fonte d'acqua limpida che, tradizionalmente, si ritiene benedetta da S. Carlo Borromeo, in occasione delle visite alla sua famiglia nel castello di Camairago. si narra che da tempi remoti, almeno dal XIII secolo, sorgesse già sulla costa, al limite della discesa verso il fiume, una cappelletta dedicata alla Vergine, venerata dai pescatori e dai barcaioli, dove si custodiva una pregevole immagine della Madonna col Bambino, ora trasferita al Museo Diocesano di Lodi. Quando, nel corso del XVII secolo, presso l'antica fontana sottostante sgorgò una nuova acqua miracolosa, che diede la parola ad un fanciullo muto, fu edificata, essendo ormai andata distrutta la primitiva cappella, una nuova chiesa dedicata alla Vergine delle Grazie; essa sorse fra 1682 e 1684, ma fu ultimata solo la zona del presbiterio, che ancora oggi ammiriamo nella ricchezza degli arredi sacri, quali l'altare ligneo dorato di linee barocche in cui è racchiuso un pregevole dipinto raffigurante la Vergine col Bambino. Sul luogo della sorgente si provvedeva anche alla costruzione di un oratorio.Fu di Camairago Felice Peroni, rettore del Seminario di Lodi, poeta di buona vena che pubblicò vari sonetti, canzoni e madrigali.
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