domenica 24 maggio 2009

I Comuni del basso lodigiano - Maccastorna


Parrocchia di San Giorgio Martire

E’ un paese le cui vicende storiche appaiono riassunte nel punto focale del piccolo agglomerato, il vasto castello che fu dei Bevilacqua, e nel quale pare il tempo si sia fermato. Un ponte collega questo territorio con l’opposta sponda cremonese, da cui Maccastorna sembra trarre le sue origini più antiche, che secondo gli storici locali, dovrebbero risalire al XIII secolo ed identificarsi con quelle del castello (le cui vicende hanno determinato da sempre la storia del nucleo abitato), anche se non si esclude un’eventuale origine più remota. L’Agnelli ritiene che nei primordi del medioevo e fin dopo la metà del XIII secolo, Maccastorna fosse un fortilizio atto a difendere il passo dell’Adda, e che si chiamasse Belpavone. All’alba della storia a noi nota stanno le lotte fratricide che insanguinarono Cremona nel corso dell’età comunale, attorno al 1270, quando i ghibellini, costretti alla fuga dai guelfi vittoriosi, trovarono rifugio in questo luogo, difeso naturalmente dalle acque del Po e dell’Adda. La rocca (Belpavone), in cui i ghibellini si asserragliarono, fu espugnata dal partito nemico, ma ben presto un nuovo edificio venne a sostituire l’antico maniero. Il nome di Maccastorna che si sostituì a quello di Belpavone, è derivante da una famiglia ghibellina di Cremona, detta de Mancastormis, e apparve verso il 1288. Nel secolo successivo la rocca venne in possesso della nobile famiglia dei Vincemala, a cui seguì quella dei veronesi Bevilacqua, grazie a una donazione effettuata da Gian Galeazzo Visconti. Il ruolo svolto da questa famiglia nella storia del castello è certamente fondamentale, dal momento che lo possedette fino allo scorcio del XIX secolo, quando lo vendette alla famiglia che ne è l’attuale proprietaria. Il castello di Maccastorna, a quei tempi, era il più forte dello stato, in mezzo alla vasta laguna del così detto mare Gerondo, nella quale si deviava l’Adda in tempo di guerra A Maccastorna si aggiunsero in donazione ; Cornogiovine, Cornovecchio, Meleti, Passone, Lardaria, Cavarizia e Caneta, formando così una vasta contea. Pare che il Bevilacqua si fermasse poco nel castello, sempre occupato in imprese guerresche ed in ambascerie per conto del suo signore. Egli visse lontano, e morì a Pavia nel 1397. Ne ereditarono i beni i figli Galeotto e Francesco, i quali come il padre, non si preoccuparono di migliorare lo stato del castello. Anch’essi restarono lontani da questo loro feudo, nel quale si ridussero solo dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402). I cremonesi, sempre indomiti, scossero il dominio dei Visconti e affidarono la signoria della città a Ugolino Cavalcabò, marchese di Viadana, il quale poté allora impadronirsi di varie altre località del contado circostante , fra le quali Maccastorna e il suo castello. A fianco del Cavalcabò, si trovava Cabrino Fondulo, soncinese, che teneva il comando delle forze militari cremonesi contro i tentativi di riconquista fatti da Gian Maria Visconti. Continuando frattanto la guerriglia, Ugolino Cavalcabò ed alcuni suoi parenti, verso la fine del 1404, furono fatti prigionieri e rinchiusi nel Castello di Milano. Il nipote di Ugolino, Carlo Cavalcabò, si fece proclamare signore di Cremona: e fu Carlo che poco dopo donò a Cabrino Fondulo di Soncino il castello di Maccastorna, dal quale erano usciti i Bevilacqua (rimasti fedeli ai Visconti), i quali si erano ritirati in un castello avito nel veronese (inizi del 1405). Cabrino Fondulo è la figura storica più notevole, anche se la più priva di scrupoli e più crudele, che abbia unito il suo nome alle secolari vicende della rocca di Maccastorna. Il peso della presenza del Fondulo si esprime soprattutto nell’opera di rinnovamento e di trasformazione che egli volle attuare per conferire alla rocca l’aspetto di una fastosa corte e insieme di un complesso fortificato. A questo intervento egli si accinse soprattutto in occasione delle sue nozze con Giustina de Rossi (1405), donna di nobile famiglia, della casa dei signori di Parma, (parentado che avrebbe rafforzato la potenza e l’autorità del Fondulo) che morì qualche mese più tardi. L’anno dopo Cabrino poté riannodare e conservare i legami di parentela con la potente famiglia dei signori di Parma sposando, il 27 febbraio 1406 Pomina Cavazzi della Somaglia. A questo punto pare che il castello abbia trovato la sua sistemazione definitiva, che ancor oggi si conserva abbastanza intatta, nonostante le manomissioni e le conversioni d’uso cui è andato soggetto nei secoli. Uno storico dei tempi narra che Cabrino si recò al castello con un gran numero di muratori, manovali ed abili artefici, restaurando e fortificando tutto quanto; vi allestì un quartiere di cento cavalli a cui, dal suo appartamento, poteva scendere mediante una scala segreta; nel recinto della rocca opposto a quello da lui e dalla sua piccola corte abitato, preparò alcuni quartieri per la soldatesca, duplicò i ponti levatoi, approfondì le circostanti fosse affinché fossero capaci di un maggior volume d’acqua, e pare costruisse anche la grande terrazza che circonda tutto l’interno del cortile; i pittori abbellivano e istoriavano le sale del castello, fece inoltre riedificare la chiesetta di San Giorgio, quasi di fronte alla facciata principale del castello Fondulo nel 1406, secondo la nota narrazione degli storici locali, mandò ad effetto il suo progetto di impadronirsi con la violenza della signoria cremonese, sopprimendo a tradimento Carlo Cavalcabò insieme con i suoi, ricevuti come ospiti; si narra che durante la notte del 24 luglio 1406, le stanze in cui riposavano i fratelli Cavalcabò, Carlo, Giacomo, Ludovico e il loro fido Andreasio, furono invase da un gruppo di sicari, e che tutti furono strozzati o pugnalati. E’ incerto dove finirono i cadaveri, forse nelle fogne del castello; si sa comunque che prima che fosse giorno Cabrino raggiunse Cremona, dove nessuno era al corrente del suo delitto, riuscì quindi a mettere le cose a suo favore e a farsi proclamare signore di Cremona. Qui tenne la città con fermezza , allargando i territori soggetti al suo dominio, accordandosi con i Visconti, migliorando l’amministrazione della giustizia e l’ordinamento delle milizie. Giovanni Vignati, signore di Lodi, cercò di vendicare la morte di Carlo Cavalcabò, suo genero; riuscì a stringere d’assedio la rocca e a impadronirsene più tardi. Tra Cabrino e il Vignati le ostilità continuarono a lungo, fino a principio del 1408, quando essendosi costituita una lega per annientare Ottone Terzi , signore di Parma, anche il Vignati fu invitato ad unirsi all’alleanza, e benché non volesse, dovette in segno di pace restituire a Cabrino Fondulo il castello di Maccastorna. La leggenda vuole che da quella famosa notte, il fantasma di Carlo Cavalcabò vaghi senza pace per i saloni del castello, per vendicarsi di quel delitto efferato commesso dal suo amico Cabrino Fondulo. Da allora, ogni 24 di luglio gli abitanti di Maccastorna aspettano il fantasma... Quando Filippo Maria Visconti divenne duca di Milano, volle ristabilire la sua autorità su tutto l’antico dominio visconteo; nel 1415 fece invadere il Cremonese, impadronendosi verso la fine del 1416 del castello di Maccastorna, del quale nel 1417 investì Galeotto Bevilacqua, appartenente alla nobile famiglia veronese che aveva già dominato su questo territorio. Il Fondulo assediato dal duca a Cremona, dovette venire a patti con lui, gli cedette la città per quarantamila ducati d’oro e si ritirò nel territorio di Castelleone dove rimase fino al 1424, quando essendo venuto in sospetto al duca, fu arrestato, trasportato a Milano e decapitato nell’anno 1425. Dal 1417 in poi, la rocca è sempre stata congiunta alle vicende della famiglia Bevilacqua, sia pure tra conflitti di guerra e contrasti giudiziari. Maccastorna passò alternativamente dall’uno all’altro belligerante ,finchè nel 1437 il duca di Milano ne rinnovò l’investitura a Galeotto Bevilacqua, conferendo al nobile veronese il titolo di conte di Maccastorna per se e per i suoi discendenti, e nel 1440 in segno di gratitudine verso l’immutata fedeltà di questa famiglia decretò in suo favore un nuovo privilegio di esenzione da ogni onere, dazio o gabella. Nei secoli successivi la rocca fu oggetto di accese diatribe familiari, e di dissidi fra la famiglia Bevilacqua e i nobili Trivulzio. Dalla fine del XVIII alla fine del XIX, i Bevilacqua conservarono la proprietà del castello. Durante la prima fase della guerra d’indipendenza nazionale, la rocca di Maccastorna fu asilo di combattenti e presidio di forze italiane, ciò che fu senza dubbio suggerito dalla robustezza delle sue mura e dalla sua eccezionale posizione strategica. Dopo il 1860, furono abbassati i torrioni dell’antica rocca, e demolite tutto intorno le mura e un’ala perché pericolanti a causa di un incendio. Nel 1882, il castello venne dichiarato monumento nazionale.

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