L'Italia poteva risparmiare 300 milioni di euro. L'equivalente dello stipendio annuo di 25mila ricercatori universitari o di 18mila insegnanti delle scuole. Ma poco importa. Lo chiamano “costo della democrazia”. In realtà si tratta di un vero e proprio spreco per venire incontro alle esigenze (economiche) dei soliti noti. Niente election day a giugno. Le elezioni amministrative e il referendum si terranno in giorni separati. Una scelta che pagano, ovviamente, i cittadini.
Le posizioni politiche. La mozione presentata dal capogruppo del Pd, Dario Franceschini, con la quale si chiedeva di accorpare la data del referendum a quella delle prossime elezioni amministrative è stata respinta per un solo voto. A fare la differenza il radicale Marco Beltrandi (eletto nelle liste del Pd) che, in disaccordo con la preferenza espressa dal gruppo, ha deciso di votare no all'election day, insieme al centro-destra. "E' stata una scelta gravissima” ha dichiarato il presidente del Pd, Rosy Bindi. “Ho votato in dissenso dal Pd – si difende Beltrandi - perché sono contrario al quorum e perché penso che l'election day sia un sotterfugio per aggirare la legge”.
I quesiti referendari. Nel referendum che si terrà a giugno, gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su 3 punti centrali che hanno caratterizzato la politica del governo negli ultimi due anni: l'energia nucleare, la privatizzazione dell'acqua e il legittimo impedimento. Votando Sì, si chiederà di bloccare il programma di realizzazione di 13 centrali nucleari sul territorio nazionale, di eliminare la privatizzazione dell'acqua avviata dal governo in collaborazione con gli enti locali, cancellare la legge sul legittimo impedimento che consente al Presidente del Consiglio di non partecipare ai processi a suo carico per impegni istituzionali.
Buttare 300 milioni per non far raggiungere il quorum. Secondo la Costituzione, affinché un referendum sia valido, devono partecipare al voto il 50% più 1 degli aventi diritto. Quindi, non è sufficiente che i “Sì” ottengano la maggioranza dei voti espressi. Accorpando le elezioni con il referendum, significa dare più possibilità al raggiungimento del quorum, troppo spesso utilizzato strumentalmente proprio per bloccare i quesiti referendari. Votando due volte nel giro di un mese, significherà, invece, rendere quel quorum più difficilmente raggiungibile, in considerazione del fatto che negli ultimi 10 anni la partecipazione al voto referendario è stata piuttosto scarsa.
Perché non abolire il quorum? La soglia di partecipazione riguarda esclusivamente il referendum abrogativo. Era stata introdotta proprio per incentivare i partiti e i comitati promotori ad informare la popolazione sui motivi del Sì e su quelli del No, in modo da incentivare la partecipazione popolare. Negli ultimi anni, invece, il quorum è stato utilizzato in maniera strumentale da chi è contrario al quesito o ai quesiti in questione, invitando la gente a disertare le urne. Il precedente più eclatante fu il referendum per l'abolizione di parte della Legge 40 sulla fecondazione assistita. In quel caso le organizzazioni cattoliche e il centro-destra invitarono a disertare le urne. Le ragioni del No si andarono a mischiare con l'indifferenza e l'ignoranza. Affinché l'unico strumento di democrazia diretta non venga svilito, è forse ora di abbassare considerevolmente il livello del quorum. Chi è contrario al quesito vada alle urne e voti No. Così risparmieremo anche 300 milioni di euro. Fonte: www.dirittodicritica.com
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