«Non vorremmo che, nonostante le attuali conoscenze propongano ancora
una volta ragionati dubbi, la scelta intransigente di proseguire ad
oltranza la costruzione dell'opera (Torino-Lione, ndr) porti a doversi
dolere in futuro di questa leggerezza ingiustificabile. Pertanto
chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo
trasparente ed oggettivo le necessità dell'opera». A formulare la richiesta oltre un centinaio di docenti e ricercatori
universitari italiani che hanno scritto al Capo dello Stato Giorgio
Napolitano l'«appello alla trasparenza tecnico scientifica sul progetto
Tav in Val Susa». «Il problema della linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità
Torino-Lyon rappresenta per noi, ricercatori e docenti, una questione di
metodo sulla quale non è più possibile soprassedere» esordisce così la
lettera, firmata da docenti come Nicola Tranfaglia, Salvatore Settis e
dal saggista e metereologo Luca Mercalli, per citarne alcuni. «Il pluridecennale processo decisionale che ha condotto a questa
situazione è stato sempre afflitto da una scarsa considerazione del
contesto tecnologico, ambientale ed economico tale da giustificare o
meno la razionalità della scelta, data sempre per scontata dal mondo
politico, imprenditoriale e dell'informazione, come assoluta fonte di
giovamento per il Paese» puntualizzano i docenti firmatari dell'appello,
che aggiungono che ormai è «nota una consistente e variegata
documentazione scientifica che contraddice alcuni assunti fondamentali a
supporto dell'opera e ne sconsiglia nettamente la costruzione». A tale proposito l'appello ricorda che in Italia grandi opere su cui ci
si è «ostinati anche allorché i dati oggettivi ne sconsigliavano la
prosecuzione», si sono in seguito rivelate foriere di «danni, vittime e
ingenti costi economici e ambientali che avrebbero potuto essere
evitati», concludendo «qualora la nostra istanza non venisse accolta, e
le perplessità in essere si rivelassero fondate in fase di realizzazione
ed esercizio dell'opera, la presente resterà a futura memoria».Fonte: L'Unità.it