mercoledì 29 gennaio 2014

Usa, addio a Pete Seeger. Storica voce folk della protesta

Forse la notizia vi dirà poco, ma nel 2013 se n'è andata Toshi Aline Ohta. Pete Seeger deve aver pensato che qualche anno ancora lontano dalla donna che aveva sposato nel 1943, non avesse più senso. La donna che aveva cantato, baciato. La donna della quale diceva: “E' la persona più importante della mia vita, le devo tutto”. 

Così Pete, il testardo romantico Pete, ha attaccato la chitarra al chiodo e a 94 anni ha attraversato il ponte che porta dall'altra parte. Lo immaginiamo col suo sorriso smagliante verso la terra dei giusti, dove esiste l'equità e la natura è rispettata come un dono prezioso. Pete Seeger era uno degli ultimi menestrelli, la voce della protesta americana per la pace e per i diritti, era il testimone della canzone rurale, il fantastico e creativo continuatore dell'opera di Woody Guthrie, la voce profonda del folk.

Newyorkese fino all'osso, era figlio di una coppia colta di musicisti, musicisti anche i fratelli Mike e Peggy. Iniziò a studiare sociologia ad Harvard, poi l'urgenza di suonare ebbe il sopravvento.

Una carriera mastodontica, iniziata negli anni Trenta, oltre cento all'album all'attivo e canzoni entrate nella storia. Canzoni come “If I Had a hammer”, “Turn, Turn, Turn”, o “We shall overcome”, inno pacifista che Joan Baez fece suo. E poi “Where have all the flowers gone?” , pezzo immortale contro la guerra al pari di “Waist Deep in The Big Muddy”, che gli fu censurato in ogni modo, in ogni maniera, ma che ha continuato a risuonare senza paura nei giorni delle lotte e delle proteste.

Ci sono almeno tre generazioni di artisti che devono molto, moltissimo, a quest'uomo magro e coraggioso, suonatore di banjo, fiero oppositore della politica dei guerrafondai della Casa Bianca. Gente come Dylan o Springsteen o Bragg o Cash forse avrebbero avuto un lume tutelare in meno, una fonte di ispirazione in meno senza Pete.

Quando aderì al Partito Comunista tra gli anni Quaranta e Cinquanta, l'America reazionaria e maccartista decise di fargliela pagare. Lo chiamavano “l'usignuolo di Stalin” e non ebbe mai vita facile. Boicottato, spiato, censurato. Eppure Seeger non si è mai dato per vinto: nel tempo rinnegò anche la politica dell'Unione Sovietica ma restò sempre dalla parte dei più deboli e dei dimenticati.
Memorabili le sue battaglie: quella ambientalista per la tutela del fiume Hudson ad esempio, o quella viscerale, imperterrita contro la guerra in Vietnam. Avrebbe potuto avere più gloria, più fama, ma non si fece mai addomesticare. Così era Pete Seeger, il ragazzo indomito con gli occhi azzurri che sparava canzoni contro i violenti. Il ragazzo che sognò un'altra America, un altro mondo. Sognò una terra che fosse la terra di tutti.

Il ragazzo che fondò i Weavers e il festival di Newport. Il ragazzo con il banjo, razza arcobaleno. Quello che continuerà a cantare: “Un solo cielo blu sopra di noi, un solo oceano che lambisce tutte le nostre rive, una sola terra tanto verde e rotonda che potrebbe chiedere qualcosa di più”.Fonte: L'Unità

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