Il primo appuntamento è oggi, a Roma. Per fermare la privatizzazione dell’acqua si parte da qui. Da piazza della Repubblica alle 14,00, con un corteo che raggiungerà piazza Navona qualche ora dopo. Ottantamila persone, almeno questa è la stima, si ritroveranno a manifestare contro il decreto Ronchi, e la successiva legge di conversione, che di fatto affida la gestione del servizio idrico ai privati, trasformando l’acqua da bene pubblico a un grande affare di pochi.
Un affare che vale da solo 8 miliardi nei prossimi anni. Ricordando che la stima è in difetto. Basta considerare che attualmente la tariffa reale media dell’acqua è di 1,43 euro al metro cubo nel 2009, ma nel 2020 sarà di 1,57 euro. Seguendo una crescita costante. Il prezzo per metro cubo d’acqua dal 2000 ad oggi è salito del 47%, con un aumento del 6% solo nell’ultimo anno. La spesa annuale per una famiglia tipo, composta da tre persone con un consumo annuo di 192 metri cubi, compresa l’Iva al 10%, è di 253 euro per il servizio idrico integrato, con un aumento del 5,4% rispetto al 2007. La spesa media annua complessiva è più alta al Centro (295 euro), rispetto al Nord (225,5 euro) e al Sud (237 euro). E questo a fronte di investimenti mai fatti. Su circa 6 miliardi di euro previsti per il 2008 solo il 56% è stato realizzato.
E con il decreto Ronchi le cose non miglioreranno. Per il Codacons si profila «una vera e propria stangata»: in tre anni, il tempo necessario perché il nuovo sistema vada a regime, il rischio concreto è quello di un aumento medio del 30% delle tariffe dell’acqua. Il rischio è che l’acqua, dunque, diventi il nuovo terreno dove fare prosperare solidi interessi. Che di solito riguardano solo grandi gruppi industriali, non i cittadini comuni.
A Roma sono attesi cento autobus da tutta Italia. Quello che si vedrà non sarà un normale corteo. Sarà più o meno un festa itinerante. Aperta dai sindaci con al seguito il gonfalone. E non è un caso. Comuni, province e consorzi, sono stati i primi a ribellarsi. In totale 250 enti con mozioni, ordini del giorno e delibere hanno difeso il diritto all’acqua pubblica, inserendolo in molti casi anche nel proprio statuto. Anche per una ragione pratica. Spesso sono proprio gli enti locali i più penalizzati dalla privatizzazione. L’esempio di scuola è quello di Arezzo. Arezzo è stata la prima città ad avere un privato, la francese Suez, come socio forte nella società di gestione Nova Acque. E la città toscana in dieci anni è diventata una delle città dove il servizio idrico si paga di più. In media all’anno si spende 386 euro. Peggio solo ad Agrigento (445 euro spesa annua 2008), il cui sistema idrico è anche qui un affare per pochi intimi. Con i sindaci, qualche metro più dietro, sfileranno 150 sigle differenti, tra comitati territoriali, associazioni, sindacati e forze politiche. Tutti confluiranno su Piazza Navona dove dal camion-palco si alterneranno 30 interventi di testimonianza aperti dal segretario del Forum dell’acqua pubblica Paolo Carsetti .
Il secondo appuntamento, invece, sarà tra pochi giorni. Per fermare la privatizzazione il passo successivo alla protesta sarà quello del referendum abrogativo. Il 24-26 marzo il Forum dei movimenti ne porterà in Corte di Cassazione tre. Quesiti redatti dai giuristi Alberto Lucarelli, Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Stefano Rodotà. Il primo chiede l’abrogazione dell’articolo 23 bis della legge 133 del 2008, cioè l’architrave su cui poggia la privatizzazione dei servizi pubblici (acqua, rifiuti, trasporto pubblico). Il secondo propone la cancellazione dell’articolo 150 del decreto 152 del 2006 (o codice ambientale) che individua le forme di gestione e affidamento del servizio idrico. Il terzo, più specifico, vuole invece l’abrogazione dell’articolo 154 del già citato decreto 152, nella parte in cui parla «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito» nella determinazione del sistema tariffario. Un modo per toglie il profitto dall’investimento. E far scappare i privati.
Se la Cassazione accetterà i quesiti ad aprile si partirà con la raccolta delle firme per poter votare nel 2011.Fonte: L'Unità.it
Un affare che vale da solo 8 miliardi nei prossimi anni. Ricordando che la stima è in difetto. Basta considerare che attualmente la tariffa reale media dell’acqua è di 1,43 euro al metro cubo nel 2009, ma nel 2020 sarà di 1,57 euro. Seguendo una crescita costante. Il prezzo per metro cubo d’acqua dal 2000 ad oggi è salito del 47%, con un aumento del 6% solo nell’ultimo anno. La spesa annuale per una famiglia tipo, composta da tre persone con un consumo annuo di 192 metri cubi, compresa l’Iva al 10%, è di 253 euro per il servizio idrico integrato, con un aumento del 5,4% rispetto al 2007. La spesa media annua complessiva è più alta al Centro (295 euro), rispetto al Nord (225,5 euro) e al Sud (237 euro). E questo a fronte di investimenti mai fatti. Su circa 6 miliardi di euro previsti per il 2008 solo il 56% è stato realizzato.
E con il decreto Ronchi le cose non miglioreranno. Per il Codacons si profila «una vera e propria stangata»: in tre anni, il tempo necessario perché il nuovo sistema vada a regime, il rischio concreto è quello di un aumento medio del 30% delle tariffe dell’acqua. Il rischio è che l’acqua, dunque, diventi il nuovo terreno dove fare prosperare solidi interessi. Che di solito riguardano solo grandi gruppi industriali, non i cittadini comuni.
A Roma sono attesi cento autobus da tutta Italia. Quello che si vedrà non sarà un normale corteo. Sarà più o meno un festa itinerante. Aperta dai sindaci con al seguito il gonfalone. E non è un caso. Comuni, province e consorzi, sono stati i primi a ribellarsi. In totale 250 enti con mozioni, ordini del giorno e delibere hanno difeso il diritto all’acqua pubblica, inserendolo in molti casi anche nel proprio statuto. Anche per una ragione pratica. Spesso sono proprio gli enti locali i più penalizzati dalla privatizzazione. L’esempio di scuola è quello di Arezzo. Arezzo è stata la prima città ad avere un privato, la francese Suez, come socio forte nella società di gestione Nova Acque. E la città toscana in dieci anni è diventata una delle città dove il servizio idrico si paga di più. In media all’anno si spende 386 euro. Peggio solo ad Agrigento (445 euro spesa annua 2008), il cui sistema idrico è anche qui un affare per pochi intimi. Con i sindaci, qualche metro più dietro, sfileranno 150 sigle differenti, tra comitati territoriali, associazioni, sindacati e forze politiche. Tutti confluiranno su Piazza Navona dove dal camion-palco si alterneranno 30 interventi di testimonianza aperti dal segretario del Forum dell’acqua pubblica Paolo Carsetti .
Il secondo appuntamento, invece, sarà tra pochi giorni. Per fermare la privatizzazione il passo successivo alla protesta sarà quello del referendum abrogativo. Il 24-26 marzo il Forum dei movimenti ne porterà in Corte di Cassazione tre. Quesiti redatti dai giuristi Alberto Lucarelli, Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Stefano Rodotà. Il primo chiede l’abrogazione dell’articolo 23 bis della legge 133 del 2008, cioè l’architrave su cui poggia la privatizzazione dei servizi pubblici (acqua, rifiuti, trasporto pubblico). Il secondo propone la cancellazione dell’articolo 150 del decreto 152 del 2006 (o codice ambientale) che individua le forme di gestione e affidamento del servizio idrico. Il terzo, più specifico, vuole invece l’abrogazione dell’articolo 154 del già citato decreto 152, nella parte in cui parla «dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito» nella determinazione del sistema tariffario. Un modo per toglie il profitto dall’investimento. E far scappare i privati.
Se la Cassazione accetterà i quesiti ad aprile si partirà con la raccolta delle firme per poter votare nel 2011.Fonte: L'Unità.it
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