DAR ES SALAAM - Se è ridicolo parlare di etica ai bracconieri che ammazzano elefanti, quando l'avorio vale 5 mila euro al chilo, è certamente più praticabile il tentativo di indurli alla riflessione e ad accettare l'idea che continuare a sparare può voler dire che entro pochi anni di elefanti non ce ne saranno più.
C'è chi di anni dice che ne trascorreranno 7 o 8 , chi 15, prima della definitiva scomparsa. Ma sta di fatto che se alla voracità dei mercati, soprattutto asiatici, non si pone un freno, il destino dei pachidermi tanzaniani sembra segnato. L'appuntamento di Doha. Dopo una quindicina d'anni di tregua, in Tanzania si sta chiedendo di rendere di nuovo legale il commercio dell'avorio, sebbene in una quantità limitata a 90 tonnellate. La proposta sarà esaminata dal 13 al 15 marzo a Doha, nel Qatar, dal Cites (la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate). Ma c'è chi è pronto a dimostrare che questa proposta sia una farsa, anche in contrasto con la pretesa riattivazione del mercato dell'avorio, in funzione di un incremento delle entrate dello Stato. Considerando il prezzo medio dell'avorio, venduto nelle precedenti aste, le 90 tonnellate in questione porterebbero a un ricavato di circa 14-15 milioni di dollari. La proposta prevede che nessuna ulteriore richiesta di vendere avorio sarà fatta per altri 6 anni, quindi 15 milioni di dollari diviso 6 anni, fa 2.5 milioni, che il governo metterebbe a disposizione della conservazione dei parchi.I conti che non tornano. Ora è evidente a tutti come il turismo, solamente tramite il pagamento per l'ingresso nei parchi o nelle riserve, porta all'erario circa 80 milioni di dollari all'anno. Il business del turismo rappresenta il 17% del pil del paese (considerando che il 45% circa è rappresentato da aiuti internazionali) per un valore di circa 3 miliardi di dollari l'anno. Si capisce così che il ricavato dalla vendita dell'avorio rappresenta lo 0,01% di quello che il turismo rappresenta per il paese.Le ammissioni del governo. Il governo tanzaniano ammette che c'è un problema di bracconaggio e lo fa per bocca di un primo segretario del ministero, il quale - in un'intervista al quotidiano Majira - dice che la situazione è grave e che non ci sono controlli alle dogane, perché la polizia è corrotta e fa passare i container carichi di avorio. Ma aggiunge che adesso la nuova strategia del governo è quello di chiedere nuove risorse per combattere il bracconaggio.La protesta degli albergatori. L'associazione alberghiera è fermamente contraria alla decisione del governo di chiedere una riapertura del mercato, in quanto - da un lato - danneggia l'immagine del paese e - dall'altro - il bracconaggio rischia di minare la prima industria del paese, cioè il turismo. La Tanzania vive sui safari fotografici, che fissano con i loro clic una natura incredibilmente bella e ricca.Le cifre di uno sterminio. Ogni elefante ammazzato garantisce una media di 7 chili di avorio. Per alimentare l'attuale ritmo del mercato mondiale, ogni anno si uccidono circa 40.000 elefanti. Lo dimostrano i dati del 2009, con nuovi record di sequestri di avorio. Sebbene le analisi del dna degli animali uccisi non siano state ancora autorizzate, dalla Tanzania è certa la partenza di tonnellate di avorio verso numerosi porti asiatici, come Haiphong, in Vietnam, o Manila nelle Filippine, per un totale di 14.380 chili.Del resto, a dimostrare un nuovo rilancio del bracconaggio, ci sono i report della comunità alberghiera e dei censimenti. Si sa, ad esempio, che nel 2006 c'erano 74.000 elefanti nel Selous, 45 mila chilometri quadrati, uno dei parchi del Sud della Tanzania considerato scenograficamente il più bello, che porta il nome (non a caso) di Frederick Courtney Selous, celebre cacciatore bianco. Un territorio disabitato senza tracce umane, dove abitano circa 750.000 mammiferi. Nel 2009 di elefanti ne sarebbero rimasti circa 40.000, secondo il direttore del Wildlife Division, Erasmus Tarimo, a capo dell'ente preposto alla tutela e salvaguardia della flora e della fauna, che agisce sotto le dipendenze del ministero dall'Ambiente e del Turismo. Dunque, in soli 4 anni, al contrario di quanto affermano i documenti ufficiali del governo tanzaniano, inviati al Cites (che parlano di crescita della popolazione dei pachidermi di 5% annuo) all'appello mancherebbero in realtà più di 30.000 elefanti. Una diminuzione media del 20%. E del 42% solo nella riserva del Selous.Gli altri paesi africani. C'è una proposta avallata da altri 16 paesi africani, in testa il Kenya e paesi della costa occidentale, che proprio per scongiurare il dramma del bracconaggio (nell'Africa occidentale gli elefanti sono ormai scomparsi) chiede invece una moratoria di 20 anni sul commercio dell'avorio. C'è così un asse composto da sei paesi africani (Sudafrica, Namibia, Botswana, Zimbabwe, Tanzania e Zambia) che chiede di riaprire i giochi del mercato dell'avorio, mentre altri 16 paesi (tra i quali Kenya, Mali, Etiopia, Nigeria, Senegal) vogliono invece fermare per almeno vent'anni il massacro.La storia del bracconaggio. Questa del floridissimo mercato dell'avorio e del bracconaggio a esso collegato è una storia vecchia. Che comincia in Africa negli anni '60-'70, anche se fu soprattutto nel decennio successivo che la popolazione di elefanti cominciò a essere decimata. Uno sterminio in tutta l'Africa e in Tanzania in particolare, con centinaia di migliaia di animali decapitati per ricavare avorio, in un momento in cui in Europa e in America il prezioso materiale faceva furore nella moda.Nel 1989 si arrivò al bando totale del commercio e da allora la popolazione di elefanti, in tutta l'Africa, ebbe una netta ripresa, al punto che in Tanzania raddoppiò e il bracconaggio sembrò pressoché scomparso. Nel 1997 il Sudafrica chiese il permesso al Cites (Conference for International Trade on Endangered Species) di vendere al Giappone l'avorio che aveva stoccato. Così da quell'anno nelle vetrine di Tokyo si ricominciò a rivedere avorio legalmente in vendita. Furono le prime scintille che rimisero in moto un meccanismo di dimensioni mondiali, che non poteva sottrarsi a una delle leggi fondamentali dell'economia, per cui dal momento che un prodotto viene immesso sul mercato la domanda comincia a salire. Ma siccome le quantità di avorio "legale" disponibile erano limitate, dal 1997 in poi il bracconaggio ha ricominciato a diffondersi in tutta l'Africa.Il bluff delle morti naturali. Nel 2002 altri paesi dell'Africa meridionale chiesero e ottennnero il permesso di vendere i loro stock di avorio, provenienti da animali morti per cause naturali. Nessuno obiettò, ma ci si accorso subito dopo che l'immettere sul mercato piccole quantità di una merce molto pregiata significava riaccendere una domanda che non poteva essere soddisfatta solo con avorio proveniente da animali morti per cause naturali. Quindi... Nel 2006 la Tanzania aveva già provato a richiedere al Cites di poter vendere il proprio avorio, ma poi ritirò la richiesta a causa di alcuni scandali interni, che collegavano la wildlife division a episodi di bracconaggio.La minaccia che viene da Oriente. La sorte degli elefanti tanzaniani - ma a questo punto anche quelli di altre aree del continente - è oggi minacciata da un altro fattore. Il Cites ha esteso il mercato, oltre che al Giappone, anche alla Cina, ormai pienamente legittimata ad acquistare avorio africano. Questo potrebbe essere l'inizio del definitivo disastro. L'appetito onnivoro del colosso asiatico per l'avorio, il legname, così come per tutto il materiale necessario a creare energia, o per tutte le immense ricchezze africane, è insaziabile. Dal 2005 in poi, il bracconaggio cresce in modo esponenziale, particolarmente nel sud della Tanzania. Nel 2009 si scopre che un certo numero di container sequestrati nel 2006 in Asia contenevano avorio della stessa regione africana, la riserva del Selous, in Tanzania e il parco Niassa, in Mozambico, una regione al confine tra i due paesi. Una scoperta, suffragata da un team di scienziati e dall'Interpol, che ha confermato come la caccia agli elefanti sia ripresa alla grande, in perfetta sintonia con l'allargamento delle maglie della rete che per qualche anno ha contenuto o bloccato la fame di avorio del mondo ricco. Un dramma nell'equilibrio dell'ecosistema di intere aree dell'Africa, tutto sulla coscienza di organizzazioni criminali multinazionali, e non certo di singoli bracconieri. Fonte: La Repubblica.it
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