sabato 6 marzo 2010

Melegnano - «L’emergenza Lambro c’era anche prima» - Secondo il tecnico il risanamento del fiume malato è possibile, «ma prima bisognerà eliminare scarichi e discariche abusive» - L’esperto di bonifiche Tedesi: «Nell’alveo metalli e idrocarburi»

«Lo sversamento di idrocarburi, a mio parere, è stato solamente una goccia nel mare dell’inquinamento del fiume Lambro, che è frutto di almeno sessant’anni di industrializzazione lungo le sue rive». A dirlo è Claudio Tedesi, l’ingegnere lodigiano considerato tra i massimi esperti nazionali di bonifiche, sia di siti contaminati da idrocarburi, sia di altre situazioni di emergenza ambientale. Non si sta occupando delle operazioni sul fiume ma la sua opinione sulle conseguenze e i rimedi per quanto accaduto martedì della scorsa settimana è preziosa.Su quale base descrive così la situazione del Lambro?«Facendo riferimento ad alcuni dati. Tempo fa, effettuando analisi in alcune aree prossime al fiume per la bonifica di Cerro, avevamo verificato che in alcuni punti nei quali avevamo già bonificato c’erano valori di 100 o 200 parti per milione di idrocarburi, che sono alti di per sé ma vanno considerati bassi in un’area che era stata contaminata. Bene, poco dopo c’era stata un’esondazione del Lambro in quegli stessi punti, e ripetendo le analisi abbiamo trovato valori anche di 10mila parti per milione: si erano depositati sedimenti del fiume, che già erano contaminati da idrocarburi e metalli pesanti, per scarichi più o meno leciti o abusivi. Questo ennesimo inquinamento è stato eclatante per l’attenzione rivolta dai mass media e la sensibilità ambientale che prima non c’era, ma in passato sul Lambro è successo di peggio. Per non parlare delle discariche abusive sulle rive».Per quanto ha visto sul fiume e appreso dai giornali, cosa può essere uscito da quella raffineria della Brianza?«Qualcuno ipotizza gasolio e olio minerale più pesante. Io però, quando l’onda nera è passata, mi sono recato al cantiere di Cerro e ho constatato un notevole impatto olfattivo, che mi ha insospettito. Parlo del mio naso, e non di analisi, sembrava l’odore di oli minerali esausti. Ma esistono anche oli combustibili che “puzzano” perché contengono molto zolfo. Diciamo che ho qualche perplessità sulla natura e la composizione del prodotto. Ma è solamente la mia personale opinione. Bisognerà fare analisi per verificare se oltre agli idrocarburi nel fiume siano passati anche gli idrocarburi policiclici aromatici, notoriamente cancerogeni».Come si procede per rimediare a inquinamenti di questo tipo?«Il primo intervento da attuare consiste nell’evitare la diffusione dell’inquinante impiegando sbarramenti, come ho visto fare in alcuni servizi televisivi sull’emergenza Lambro: si usano panne oleoassorbenti, si cerca di sbarrare il primo mezzo metro, dall’alto, del corso d’acqua, per trattenere gli oli, che tendono a galleggiare, e asportarli quindi con gli skimmer. Questi macchinati, ideato mezzo secolo fa, sono costituiti da un rullo semisommerso fatto di un materiale simile alla stoffa: quando passa sott’acqua raccoglie l’olio e quando torna in superficie una lama lo strizza».Che efficacia hanno questi sistemi?«Dipende dalla tempestività dell’intervento. Tra panne galleggianti, skimmer e impiego di autospurgo per aspirare gli accumuli di idrocarburi fermati con le barriere si arriva a intercettare il 50 per cento del materiale che finisce in un corso d’acqua. C’è un 10 o 20 per cento che invece si disperde per evaporazione e un 30 che si deposita sul fondo».Gli idrocarburi aspirati o assorbiti però sono a loro volta contaminati da acqua e altre sostanze: come vengono smaltiti? «Il liquido catturato dagli skimmer contiene al massimo il 20 per cento di idrocarburi, il resto è acqua: va conferito in impianti di smaltimento e raffinerie, in cui si impiegano disoleatori, vasche in cui avviene la separazione fisica, per gravità, dei diversi liquidi. Una parte degli idrocarburi può essere ritrattata e utilizzata, l’acqua residua invece va poi trattata nei depuratori».Come mai il depuratore di Monza è andato in blocco quando ha ricevuto il materiale della ex raffineria finito nelle fogne?«I depuratori devono lavorare entro certi parametri, per assicurare l’efficacia dei trattamenti chimici, fisici e biologici. Se un impianto è dimensionato per mille parti per milione di idrocarburi e ne entrano 100mila, non è più efficace».Una volta ripulita l’acqua, cosa rimane in un fiume che ha subito uno sversamento di idrocarburi?«Residui sulle sponde e sedimenti. Per prima cosa si deve procedere con la caratterizzazione, cioè analisi in diversi punti del sito contaminato, poi viene realizzato il progetto di bonifica, con obiettivi di legge ben precisi per terreni, sedimenti e acque».Ma fino a che punto si potrà arrivare, se il Lambro è da decenni più simile a un collettore industriale che a un fiume?«Si parla tanto della depurazione delle acque di Milano, ma secondo me quello non è il vero problema. Dalle città arriva un carico organico degradabile. Mi ricordo che venti o trent’anni fa c’era un piano di risanamento per Lambro, Seveso e Olona: che fine ha fatto?»Lei intende dire che bisognerebbe trattare tutto il Lambro come si sta facendo per l’area inquinata della Gazzera?«Non proprio. Ma sicuramente ci sono sedimenti nell’alveo del Lambro che vanno asportati e trattati. E non è un’utopia: il ministero dell’Ambiente sta bonificando aree portuali importanti, come Taranto, La Spezia, Gela e Manfredonia. Il Lambro richiederà un intervento analogo: in qualche caso bisognerà asportare terreno contaminato, in qualche altro trattarlo e ricollocarlo. Senza dimenticare che più è invasivo l’intervento più ne risentono la flora batteria e la fauna. Bisognerà iniziare da monte, e soprattutto eliminare scarichi fuorilegge. E purtroppo non c’è nessuna polverina magica che può risolvere una situazione così complessa e compromessa».Fonte: Il Cittadino

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