mercoledì 19 gennaio 2011

Casale - Un viaggio nel vecchio ospedale tra abbandono e muri diroccati - La parte storica del nosocomio cittadino versa in uno stato di degrado ormai da anni

Ingoiato dalle erbacce e dai detriti. Il vecchio ospedale di Casale, divorato dall’incendio, dall’incuria e dal tempo si sta sempre più accasciando al suolo. La struttura, metri e metri di capitelli e cornicioni diroccati proprio davanti al convento dei Cappuccini, risale agli inizi del ’900. Attualmente vi trovano spazio, nella piccola ala ancora conservata, il Sert e il Centro psichiatrico, il quale però è in via di trasloco all’interno dell’attuale presidio ospedaliero. Quando venne attaccato dall’incendio nel 1984 non aveva più la sua funzione ospedaliera, ospitava solo uffici pubblici. Lo ricorda Pino Corradi, dipendente dell’ex Inam, istituto ospitato appunto all’interno dell’edificio. «Questa struttura - aggiunge Franco Albertini, ex consigliere comunale di Casale -, è abbandonata da tantissimi anni. Si figuri che vent’anni fa, quando se ne parlava in consiglio comunale, l’Asl non sapeva nemmeno che fosse di sua proprietà. Ho un bruttissimo ricordo di quell’ospedale. Venni operato di tonsille nel ’67 e misero il mio letto proprio di fianco ad una porta che dava su una scala a chiocciola che portava negli scantinati. Era un continuo via vai di medici e infermieri e ogni volta che la aprivano pensavo di cadere giù. Ancora adesso ho gli incubi se penso alle mie tonsille. C’era una sala sola dove gli ammalati stavano tutti insieme. L’ospedale era stato costruito a ricordo di Enzo e Rosi Rossi, proprietari della storica falegnameria, i quali morirono di spagnola dopo la prima guerra mondiale». Resistette fino a quando, all’inizio degli anni ’70, pensarono di costruire l’attuale presidio. «Il senatore Camillo Ripamonti della Dc, che diventò anche sottogretario alla sanità e veniva a pescare voti nel Lodigiano, che era il collegio nel quale poi venne eletto - aggiunge Albertini -, mise dei soldi per la costruzione del presidio. Già ai tempi, secondo me, si poteva pensare di costruire un solo presidio tra Casale e Codogno, ma la politica la pensava diversamente. Prima ancora l’ospedale si trovava davanti alla chiesa di San Rocco, lungo la via Emilia». Sono passati quarant’anni, ma l’edificio barcollante giace ancora in stato di abbandono. Con il rischio che qualche adolescente si infili tra i ruderi e si faccia male. «Per quanto riguarda la sicurezza - spiega Maurizio Bracchi, direttore dell’ufficio tecnico dell’Azienda ospedaliera attualmente proprietaria della struttura - non ci sono problemi. La parte colpita dall’incendio è stata tutta recintata. Gli accessi sono consentiti solo negli spazi ancora funzionanti». Accanto al vecchio ospedale anche l’ex casa di riposo Vittadini Terzaghi adiacente attende di essere ridestinata. Durante la settimana, il quartiere è desolato. «Se Padre Carlo d’Abbiategrasso diventasse santo - aggiunge Albertini - il santuario diventerebbe di serie A, meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli. Riqualificare la piazza diventa, a questo punto, fondamentale. Bisogna puntare al futuro di quel quartiere, lì dietro abitano almeno 400 persone. Bisognerebbe rimettere in gioco l’ex casa di riposo, aprire un bar, fare un parcheggio, recuperare la vita in questa zona. L’oratorio funziona bene, ospita squadre di calcio anche da fuori città. Se ci fossero magari un’osteria, degli spazi commerciali, anche la gente che frequenta il santuario quando esce avrebbe un motivo in più per fermarsi e la piazza riacquisterebbe la sua funzione di centro vitale della comunità». D’accordo con lui è anche l’ex presidente dell’Usl 54, Francangelo Riboldi, che guidò l’ospedale insieme al direttore Giambattista Zambarbieri. «È brutto - annota - vedere questa strutture crollare. A Codogno, per esempio, abbiamo l’ex monastero delle Clarisse. una struttura bellissima e sana, vuota da 15 anni». «Per quanto riguarda il vecchio ospedale di Casale - precisa Bracchi - il comune ha un programma di riqualificazione; sotto il profilo sanitario lo stiamo dismettendo. In ogni caso noi dobbiamo pensare a come gestire quell’area. Dobbiamo capire però le reali intenzioni del comune».Fonte: Il Cittadino

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