venerdì 28 gennaio 2011

L’Adda stretta nella morsa del cemento - Per il Wwf solo il 30 per cento del corso d’acqua può vantare la presenza di vegetazione e zone umide

L’Adda potrebbe essere in buona salute, ma non lo è. Non del tutto, comunque. 

Nonostante sia quasi totalmente protetto da parchi naturali, il fiume che attraversa il Lodigiano si piazza solo a metà classifica tra i corsi d’acqua esaminati dal Wwf. Dei 130 chilometri censiti dall’associazione ambientalista, solo il 30 per cento può vantare la presenza di vegetazione e zone umide, mentre il 48 per cento è dedicato all’agricoltura e più del 12 per cento è sacrificato dal consumo di suolo con abitazioni, cantieri, industrie, capannoni. Inoltre, si contano 19 scarichi, tra depuratori e scarichi domestici, a cui se ne aggiungono 12 non identificati. Se si considera invece la popolazione che nuota sotto la superficie, nei diversi tratti monitorati, le specie autoctone sono di poco superiori alla metà di quelle presenti; le specie alloctone, invece, ovvero non tipiche di questo ambiente, sono tra le 13 e le 17, a seconda dei punti presi in esame. Si tratta del siluro, del barbo europeo, della carpa, della gambusia, del persico reale e sole.Uno dei progetti considerati tra i più interessanti a livello nazionale coinvolge l’associazione di pesca sportiva Spinning Club, che da tempo si batte per la difesa e il ripopolamento della trota marmorata.Nella giornata di ieri è stato presentato a Roma il dossier del Wwf “Fiumi d’Italia”, realizzato dopo il censimento “Liberafiumi” dello scorso maggio, un’iniziativa che ha coinvolto più di 600 volontari, tutti in campo per realizzare una mappa dettagliata di una trentina di corsi d’acqua. Durante il convegno, Wwf Italia e Spinning Club Italia hanno firmato l’accordo “Un patto per i nostri fiumi”, un’intesa per unire le forze a favore dei fiumi e della fauna ittica.Secondo le analisi messe in campo dai volontari, ai vertici della classifica si trovano Melfa, Tagliamento, Angitola e Ciane: tutti possono vantare un buono stato di salute. A metà classifica, in ordine decrescente, seguono torrente Arzino, Taro, Simeto, Biferno, Sangro, Piave, Ippari, Magra, Adda, Ofanto, Oreto, Savio. Agli ultimi posti, infine, chiudono la graduatoria Volturno, Sagittario-Aterno, Arno, Aniene, Agri, Tevere, Po di Primaro e buon ultimo il Chiascio.«Il ritardo politico, istituzionale e culturale nella gestione dei fiumi - si legge nel documento - è forse le principale causa dei mali dei nostri fiumi. Mali come la canalizzazione e la diffusa infrastrutturazione della rete idrografica, il consumo dei suoli, la continua distruzione della vegetazione naturale che cresce lungo le sponde, i progetti di navigazione come ultima scusa per cavare sabbia e ghiaia, l’aumento degli usi dell’acqua. Ma anche l’agricoltura, la florovivaistica e la zootecnia producono impatti ambientali estremamente pesanti ai corsi d’acqua e alle falde, come succede nella media Pianura Padana tra l’Oglio, il Po e il Mincio. Gli eccessivi prelievi d’acqua per i differenti usi, spesso scoordinati tra loro, hanno stravolto i regimi naturali dei corsi d’acqua, enfatizzando i fenomeni estremi (magre e piene)». Fonte: Il Cittadino

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