Quasi trent’anni fa, in nome dell’indipendenza energetica, Montalto Di Castro era avviata a diventare il simbolo del «nuovo» nucleare tricolore. Due reattori che avrebbero prodotto, a regime, poco meno di 2mila megawatt. Ma proprio mentre li stavano tirando su, quattro anni dopo, il 24 aprile 1986, salta in aria la centrale nucleare di Chernobyl. Stava in Ucraina, lontanissima, ma per un bel po’ anche in Italia ci sarà il divieto di mangiare l’insalata (sopportato senza troppi disagi dai più piccoli) perché l’allarme contaminazione non si era fermato a nessun confine precedendo la nube radioattiva che si espandeva su mezza Europa. L’anno dopo, tramite referendum, l’80% degli italiani chiede lo stop al nucleare. Le tre centrali in funzione chiudono. Quella di Montalto, fin lì costata 7mila miliardi di vecchie lire, non aprirà mai. Al suo fianco, per altri 7mila miliardi, Enel realizza un impianto a turbogas. Ma la centrale nucleare resta in piedi, pur senza reattore. E oggi, mentre in tv e sui giornali scorrono le terribili immagini e notizie del terremoto in Giappone e del conseguente disastro nucleare di Fukushima, sembra quasi che la storia voglia rincorrere se stessa. Pur con delle variabili di non scarso rilievo.Fonte: L'Unità.it
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