Tre corone a ricordo dei caduti dell’eccidio del 26 luglio 1944. Le ha
deposte a Marzano di Merlino, a Villa Pompeiana di Zelo e alla cascina
Cagnola di Galgagnano, il comitato per le onoranze ai caduti per la
libertà composto dalle amministrazioni di Cervignano d’Adda, Colturano,
Comazzo, Galgagnano, Lodi, Melegnano, Merlino, Mulazzano, Paullo,
Tribiano e Zelo Buon Persico. Con loro, moltissime bandiere e gonfaloni
dei comuni, delle Anpi, delle sezioni Combattenti e reduci,
simpatizzanti, dell’aeronautica, dei carabinieri e delle associazioni da
tutto il Lodigiano e Sudmilano, oltre ai rappresentanti di alcuni
partiti e brigate partigiane. La commemorazione ufficiale delle undici
vittime di sessantasette anni fa si è tenuta verso le 10.30 di ieri
mattina presso il monumento di Villa Pompeiana che riporta i nomi di
quegli uomini «uniti dalla visione solidale del mondo, dall’alto senso
della società civile», come ha affermato Isabella Ottobelli presidente
dell’Anpi lodigiana. Carlo Guaiarini, comandante partigiano detto “Il
Barba”, fatto precipitare dal palazzo di Marzano di Merlino; Martino
Abbondio, Italo Santini, Oliviero Ugolini, Amalio Favini, Calogero
Scaravilli e Cesare Rigamonti, partigiani e giovani renitenti alla leva
fucilati a Villa Pompeiana dopo interrogatori sommari; Celeste Sfondrini
proprietario della cascina Cagnola, accusato di dare ospitalità a
sbandati e fucilato nell’aia con i suoi contadini Giuseppe e Artemio
Massari e Michele Vergani. Prima di mezzogiorno di quel 26 luglio, tutto
era terminato: le brigate nere avevano voluto colpire duro dopo
l’agguato del 21 luglio a Cervignano. Il 27 la prefettura di Milano
diramò un comunicato lapidario che così recitava: «Annientata una banda
di 11 componenti trovati in possesso di armi». Lo ha ricordato Isa
Ottobelli, intervenendo a Villa Pompeiana alla presenza di Lorenzo
Guerini sindaco di Lodi, Roberto Cenati neo presidente dell’Anpi Milano,
Ornella Ravaglia dell’Anpi di Bergamo e Mario Gandolfi di Lodi che ha
aperto la commemorazione a Marzano di Merlino, alle 10. «La memoria
mette in relazione chi ha vissuto quei giorni con chi è venuto dopo, per
preservare il nostro patrimonio di valori di libertà, giustizia,
eguaglianza, convivenza civile», ha affermato il sindaco di Merlino
Giovanni Fazzi. E nel 150esimo dell’unità d’Italia, con l’inno di Mameli
e bandiere e gonfaloni sull’attenti, il grido «Viva l’Italia unita» è
risuonato anche nelle parole di Paolo Della Maggiore sindaco di Zelo e
di Isa Ottobelli. Infine una delegazione si è recata alla cascina
Cagnola per deporre la corona al termine della Santa Messa. Commovente,
silenzioso e partecipato l’omaggio che moltissime persone hanno voluto
tributare ai caduti dell’eccidio.
Alla cascina Cagnola di Galgagnano continua a parlare la memoria di Celestino Sfondrini e delle altre persone legate alla tragica giornata del 26 luglio 1944. Mentre però dei loro carnefici la memoria è svanita nella storia da dimenticare, il nome di Sfondrini, assieme a quelli di Artemio Massari, Giuseppe Massari e Michele Vergani, quasi 70 anni dopo continua a essere quello di un giusto, indicato come testimone del bisogno di civiltà. Il 67esimo anniversario dell’eccidio della Cagnola ha richiamato più di cento persone nella corte della cascina ed è stata anche l’ultima commemorazione affidata a don Giancarlo Malcontenti, parroco di Cervignano in procinto di riprendere il suo cammino di missione fuori dall’Europa. Officiando la Messa nella corte - quella stessa dove una lapide e un mazzo di fiori ricordano il punto dell’esecuzione di Sfondrini - don Malcontenti ha nuovamente posto in rapporto le tragedie della seconda guerra mondiale con una professione di fede cristiana. Il parroco ha invitato tutti a «continuare a prendere esempio dalla testimonianza di questi uomini di tanti anni fa, chiedendo ogni giorno una sapienza del cuore che non è mai scontata». L’incursione delle brigate nere in questa frazione rurale di Galgagnano rappresenta, nella ricostruzione dei fatti del 26 luglio 1944, in un certo senso la pagina più arbitraria e proprio per questo più inesplicabile. Le esecuzioni sommarie decretate dalla colonna repubblichina uscita da Lodi e Milano riguardarono infatti Celestino Sfondrini, conduttore agricolo già allora più che quarantenne e padre di famiglia; Giuseppe Massari, mutilato di guerra e perciò escluso dalla coscrizione obbligatoria della Rsi; Artemio Massari e Michele Vergani, lavoranti della cascina arbitrariamente accusati di fiancheggiamento partigiano. Oggi sono passati quasi sette decenni ma siccome l’uomo è esposto alle stesse derive, bisogna non far impigrire la memoria. «Dobbiamo prendere esempio da loro - ha concluso il sacerdote - da chi ha dato la vita per testimoniare la superiorità dell’amore sull’odio».Fonte: Il Cittadino
Alla cascina Cagnola di Galgagnano continua a parlare la memoria di Celestino Sfondrini e delle altre persone legate alla tragica giornata del 26 luglio 1944. Mentre però dei loro carnefici la memoria è svanita nella storia da dimenticare, il nome di Sfondrini, assieme a quelli di Artemio Massari, Giuseppe Massari e Michele Vergani, quasi 70 anni dopo continua a essere quello di un giusto, indicato come testimone del bisogno di civiltà. Il 67esimo anniversario dell’eccidio della Cagnola ha richiamato più di cento persone nella corte della cascina ed è stata anche l’ultima commemorazione affidata a don Giancarlo Malcontenti, parroco di Cervignano in procinto di riprendere il suo cammino di missione fuori dall’Europa. Officiando la Messa nella corte - quella stessa dove una lapide e un mazzo di fiori ricordano il punto dell’esecuzione di Sfondrini - don Malcontenti ha nuovamente posto in rapporto le tragedie della seconda guerra mondiale con una professione di fede cristiana. Il parroco ha invitato tutti a «continuare a prendere esempio dalla testimonianza di questi uomini di tanti anni fa, chiedendo ogni giorno una sapienza del cuore che non è mai scontata». L’incursione delle brigate nere in questa frazione rurale di Galgagnano rappresenta, nella ricostruzione dei fatti del 26 luglio 1944, in un certo senso la pagina più arbitraria e proprio per questo più inesplicabile. Le esecuzioni sommarie decretate dalla colonna repubblichina uscita da Lodi e Milano riguardarono infatti Celestino Sfondrini, conduttore agricolo già allora più che quarantenne e padre di famiglia; Giuseppe Massari, mutilato di guerra e perciò escluso dalla coscrizione obbligatoria della Rsi; Artemio Massari e Michele Vergani, lavoranti della cascina arbitrariamente accusati di fiancheggiamento partigiano. Oggi sono passati quasi sette decenni ma siccome l’uomo è esposto alle stesse derive, bisogna non far impigrire la memoria. «Dobbiamo prendere esempio da loro - ha concluso il sacerdote - da chi ha dato la vita per testimoniare la superiorità dell’amore sull’odio».Fonte: Il Cittadino