mercoledì 1 febbraio 2012

San Donato - Il “mercatino” non teme il giro di vite

“Suk” della metro 3: la linea Pisapia e l’obiettivo trasloco enunciato dall’assessore sandonatese Michele Mardegan non turbano più di tanto chi del mercato è protagonista, cioè gli stranieri (punteggiati da rappresentanze tricolori) che ogni domenica da dieci anni fanno diventare l’ex parcheggio Atm una cittadella dello smercio a prezzo discount.
Le duecento bancarelle dentro il perimetro offrono un quadro della loro attività in cui una cosa appare abbastanza confusa - il pagamento del plateatico, e a chi esattamente - mentre un’altra viene messa avanti con chiarezza dagli esperti commercianti maghrebini: «Vogliono il parcheggio al posto di noi? Lo facciano, ma si sappia che anche l’Atm guadagna un sacco di biglietti di domenica su questa tratta, gente che va e viene in metro con sacchetti e borse. Tolti loro, non sappiamo se i conti tornerebbero coi ticket di sosta». Un’altra impressione emerge da diversi gestori di piazze di vendite: «C’è una crisi economica terribile, qui la gente, compresi gli italiani, viene a comprare le calze a due euro cinque paia e i cellulari a dieci. È dura togliere la possibilità di acquistare, ma anche quella di vendere». In una gelida festività invernale il mercato che balla sul confine Milano-San Donato appare decisamente meno affollato rispetto alla stagione calda e, a essere onesti fino in fondo, più “occidentale” nella concezione. In inverno si notano anche alcuni spazi vuoti nel centro, liberi per gli spuntisti che mettono giù teloni fantasia con scarpe dall’aria usata, trapani, fresatrici, cavi elettrici, autoradio, caffettiere, pentole, dvd arabi. Il “suk” da oltre un decennio propone la sua formula caotica ma in linea generale definita: salvo l’alimentare, che porrebbe problemi igienici non trascurabili, il resto si trova tutto. Che una delle nuove regole del Comune di Milano possa essere ottemperata in fretta, ci sono pochi dubbi: tenere il prezzo delle merci sotto i trecento euro è dire piovere sul bagnato. A occhio, sopra questa cifra c’è forse qualche cucina a gas in esposizione. In mezzo alle corsie la maggioranza che si aggira è ancora straniera, araba in particolare, ma incrociare una faccia almeno in apparenza italiana non sembra più la mosca bianca di qualche anno fa. Appena entrati il baracchino dei panini a destra si manifesta italianissimo; più avanti si incontra il classico piazzista di pentole e coltelli magici in stile Fiera del Perdono di Melegnano; oltre ci si imbatte in un camion con la scritta “mercatino del nuovo e dell’usato”. Ma chi si paga per occupare la piazza? «Questo è un mercato privato - dice Abi di Lecco, che ha iniziato dieci anni fa assieme al padre marocchino l’avanti e indietro con scatoloni di pantaloni e giacche- non siamo noi direttamente a pagare l’Atm o il Comune di Milano, ma lo fa l’organizzazione. In pratica c’è un coordinamento che raccoglie le quote; ottanta euro a banco ogni domenica. Sono tanti, facciamo una fatica dannata, ogni mercato mi costa 150 euro compreso il gasolio salito alle stelle». «E poi oggi è vuoto», constata assieme ad altri due ragazzi che gli danno una mano. In effetti quando ci sono piazze libere, pare di capire, gli 80 euro li versano solo i banchi fissi. I teloni no, e infatti «io oggi non pago», conferma un altro ambulante nordafricano che dispone di poche paia di calze. La cifra di 80 euro sborsati a domenica torna anche nei chiarimenti di Mohamed, che governa un banco “anfibio”: da una parte si vedono vestiti, dall’altra elettronica varia a basso prezzo. Mohamed precisa di essere alla sua postazione da poco, due anni, ma introduce un’altra visuale: «Hanno calcolato cosa significa per gli incassi Atm, quindi del Comune, avere decine di migliaia di persone in meno sulla metro? Chi verrebbe qui di domenica se ce ne andiamo noi?». Mohamed è vago sull’esatta origine di queste merci disparate e multicolori, che a naso sembrano uscire da discariche, cantine o dalla tecnologia di qualche anno fa: «C’è ricettazione? E dove non c’è ricettazione in Italia? Negli altri mercati è diverso? Non mi pare». La spina centrale della fiumana di bancarelle è costituita appunto dagli “occasionali”, cioè da quelli che hanno un altro lavoro oltre al commerciante, e secondo la ricetta di palazzo Marino sarebbero gli unici che conserverebbero il diritto a esporre. «Qui c’è una netta divisione - spiega Alì, idraulico cinquantenne con impresa attiva a Milano e attrezzi artigiani vari appoggiati sul bancone - io vendo qualche cosa, roba che arriva da discariche, ma se anche perdo questo lavoro mi resta l’altro e quasi mi fanno un favore. Ma altri qui campano eccome. Anche svuotando cantine, con la crisi il commercio occasionale è diventato questione di sopravvivenza».Fonte: Il Cittadino
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