In piazza di fronte al municipio ci sono anche i Villa, gli agricoltori
che conducono da quattro generazioni, dal 1936, la corte di Poasco che
ha dato fuoco alle polveri di molta politica locale. «Non lo facciamo
per noi - dice Alessandra Villa, della famiglia che sovrintende ad
ottanta ettari nel Parco Sud e alla piccola stalla con venti capi-, ma
perché il Ronco a San Donato ha un significato particolare. È sempre
stato un luogo aperto, un “altro mondo” a due passi dall’Eni. E non
vogliamo che diventi l’ennesima distesa di palazzine, ovvero l’ennesimo
luogo senza storia». Nel frattempo sotto le finestre dove è riunita la
giunta Dompè scoppia la polemica fra Rifondazione e “Non una sola
Campagnetta”, gli organizzatori ufficiali, e altri partiti di
centrosinistra che ad un certo punto compaiono: Partito democratico,
Sel, Italia dei valori e Verdi. «Cosa ci fanno qui? - prorompe il
consigliere Mistretta - Nessuno li ha invitati e sul Ronco hanno una
posizione del tutto diversa dalla nostra. Direi anzi simile a quella del
centrodestra che dicono di combattere. Pensano che basti costruire un
capannone per metterci i trattori per salvare la vocazione verde. Ma
questo lo fa anche Dompè». La partecipazione della famiglia Villa, come
detto, è all’insegna della difesa di una tradizione innanzitutto storica
e poi familiare. «Mio nonno ha cominciato a condurre la cascina nel
1936, quando aveva sedici anni - continua Alessandra - si può capire
cosa significhi per noi dover abbandonare, o aver la prospettiva di
abbandonare, un luogo simile. Siamo alla quarta generazione che vuole
andare avanti, mia figlia sta studiando agraria proprio per continuare
il mestiere». Ma la proprietà suona altre corde: «Nella manutenzione da
vent’anni non investono nulla, per cui è chiaro che alcune parti della
struttura le vedete come sono - continua l’imprenditrice agricola- e
terrei a precisare che il divieto d’accesso agli estranei l’hanno
imposto loro. Noi, per conto nostro, eravamo dispostissimi a proseguire
la collaborazione con le scuole che aveva raggiunto ottimi risultati. Se
vogliono costruire altre case, faranno un’enorme fatica a venderle e
stravolgeranno una corte citata negli archivi fin dall’anno 1250». Pochi
metri in là, il crocchio degli “intrusi” Pd, Italia dei valori, Sel e
Verdi precisa perché ha raggiunto la soglia del Comune: «Siamo stati
invitati dagli “amici di cascina Ronco” che stamattina facevano girare
email e messaggi su Facebook. Il progetto? Ma certo che è brutto.
Intanto, la giunta Dompè in extremis pregiudica un altro pezzo di libera
scelta di chi amministrerà deliberando anche sul Ronco. Il Ronco si
salva col realismo, senza agitare l’utopia. Ad esempio salvando l’antico
mulino destinandolo a museo dell’agricoltura».Fonte: Il Cittadino