mercoledì 14 marzo 2012

San Donato - «Ci lavoriamo da quattro generazioni, ora veniamo sfrattati dalle palazzine». Al sit-in anche i rappresentanti della famiglia Villa che conduce l’azienda agricola

In piazza di fronte al municipio ci sono anche i Villa, gli agricoltori che conducono da quattro generazioni, dal 1936, la corte di Poasco che ha dato fuoco alle polveri di molta politica locale. «Non lo facciamo per noi - dice Alessandra Villa, della famiglia che sovrintende ad ottanta ettari nel Parco Sud e alla piccola stalla con venti capi-, ma perché il Ronco a San Donato ha un significato particolare. È sempre stato un luogo aperto, un “altro mondo” a due passi dall’Eni. E non vogliamo che diventi l’ennesima distesa di palazzine, ovvero l’ennesimo luogo senza storia». Nel frattempo sotto le finestre dove è riunita la giunta Dompè scoppia la polemica fra Rifondazione e “Non una sola Campagnetta”, gli organizzatori ufficiali, e altri partiti di centrosinistra che ad un certo punto compaiono: Partito democratico, Sel, Italia dei valori e Verdi. «Cosa ci fanno qui? - prorompe il consigliere Mistretta - Nessuno li ha invitati e sul Ronco hanno una posizione del tutto diversa dalla nostra. Direi anzi simile a quella del centrodestra che dicono di combattere. Pensano che basti costruire un capannone per metterci i trattori per salvare la vocazione verde. Ma questo lo fa anche Dompè». La partecipazione della famiglia Villa, come detto, è all’insegna della difesa di una tradizione innanzitutto storica e poi familiare. «Mio nonno ha cominciato a condurre la cascina nel 1936, quando aveva sedici anni - continua Alessandra - si può capire cosa significhi per noi dover abbandonare, o aver la prospettiva di abbandonare, un luogo simile. Siamo alla quarta generazione che vuole andare avanti, mia figlia sta studiando agraria proprio per continuare il mestiere». Ma la proprietà suona altre corde: «Nella manutenzione da vent’anni non investono nulla, per cui è chiaro che alcune parti della struttura le vedete come sono - continua l’imprenditrice agricola- e terrei a precisare che il divieto d’accesso agli estranei l’hanno imposto loro. Noi, per conto nostro, eravamo dispostissimi a proseguire la collaborazione con le scuole che aveva raggiunto ottimi risultati. Se vogliono costruire altre case, faranno un’enorme fatica a venderle e stravolgeranno una corte citata negli archivi fin dall’anno 1250». Pochi metri in là, il crocchio degli “intrusi” Pd, Italia dei valori, Sel e Verdi precisa perché ha raggiunto la soglia del Comune: «Siamo stati invitati dagli “amici di cascina Ronco” che stamattina facevano girare email e messaggi su Facebook. Il progetto? Ma certo che è brutto. Intanto, la giunta Dompè in extremis pregiudica un altro pezzo di libera scelta di chi amministrerà deliberando anche sul Ronco. Il Ronco si salva col realismo, senza agitare l’utopia. Ad esempio salvando l’antico mulino destinandolo a museo dell’agricoltura».Fonte: Il Cittadino
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