lunedì 1 ottobre 2012

«Stop alle colate di cemento sui campi»

Al posto dei campi, cemento; un labirinto di strade a scorrimento veloce; biogas e logistiche; niente più siepi, niente filari, ritagli di campagna fra cantieri e viadotti: è la fotografia del Lodigiano che verrà, qualora si decidesse di non fare nulla per arginare un fenomeno che in otto anni - dal 1999 al 2007 - ha divorato più di mille trecento ettari di terreno fertile, viaggiando a una media di duecento quaranta campi da calcio all’anno. Ma di lodigiani decisi ad arrestare il consumo di suolo, fortunatamente, ne esistono ancora: sono gli ospiti del convegno “I colori della terra”, promosso sabato dal Fai.Organizzato presso il foyer dell’auditorium Bpl in concomitanza con la mostra “Storia naturale” di Andrea Mariconti, il convegno è durato l’intera giornata e ha messo a fuoco il tema in agenda attraverso una serie di relazioni dedicate alla vocazione agricola del Lodigiano. Introdotto da Maria Emilia Maisano Moro (capo delegazione del Fai Lodi-Melegnano), lo storico Ercole Ongaro ha ripercorso l’evoluzione della cascina lodigiana, mentre Maria Chiara Fugazza (vice presidente dell’Istituto lombardo di storia contempoeanea) ha ricostruito i paesaggi ottocenteschi della bassa, attraverso le pagine di Carlo Cattaneo. Non una rievocazione nostalgica la loro, ma il riconoscimento oggettivo di un’identità agricola che è compito dei lodigiani di oggi riaffermare e difendere. Da quali minacce? Se ne è discusso nella restante parte del convegno, cui hanno partecipato anche Costanza Pratesi (responsabile dell’Ufficio ambiente e paesaggio del Fai) e Laura Boriani, presidente dell’ordine degli architetti di Lodi, che ha spiegato come recuperare in modo sostenibile i vecchi fabbricati rurali. Far rivivere gli immobili esistenti contribuisce non poco a preservare il paesaggio, i cui nemici principali sono naturalmente il cemento («La nostra provincia rientra fra le otto circoscrizioni italiane che dal 2000 al 2006 hanno visto il maggior incremento di superficie urbanizzata» ha ricordato il giornalista Gesualdo Sovrano) e l’abbandono. Basti pensare ai ritagli di terreno lasciati incolti a causa di «una pianificazione stradale che non tiene conto della forma dei campi coltivati», come ha detto il presidente di Confarticoltura Lodi Antonio Boselli. Vengono in mente i campi di Mulazzano e Cassino d’Alberi, mietuti anzitempo dalla falce della Tem «che solcherà con una ferita insanabile la parte settentrionale del Parco Adda Sud», ha tuonato il direttore del parco, Riccardo Groppali. Ma il consumo di suolo non va attribuito soltanto alle grandi opere pubbliche: «Tutti dobbiamo sentirci responsabili», ha detto il direttore dell’archivio storico Francesco Cattaneo. Per impedire che il lodigiano si trasformi in una «nebulosa cementizia» si potrebbe - per cominciare - «riqualificare aree dismesse e proporle agli operatori in cerca di spazi produttivi», come fa da alcuni anni la Camera di commercio di Lodi, rappresentata al convegno dalla vicepresidente Claudia Rinaldi. Oppure - ha detto il consigliere provinciale Emanuele Arensi - «aggregare le aree riservate allo sviluppo di nuove attività in un unico centro produttivo, a servizio di più comuni, come la Provincia ha fatto nelle «Terre d’oltre Adda»».Fonte: Il Cittadino

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