Al posto dei campi, cemento; un labirinto di strade a scorrimento
veloce; biogas e logistiche; niente più siepi, niente filari, ritagli di
campagna fra cantieri e viadotti: è la fotografia del Lodigiano che
verrà, qualora si decidesse di non fare nulla per arginare un fenomeno
che in otto anni - dal 1999 al 2007 - ha divorato più di mille trecento
ettari di terreno fertile, viaggiando a una media di duecento quaranta
campi da calcio all’anno. Ma di lodigiani decisi ad arrestare il consumo
di suolo, fortunatamente, ne esistono ancora: sono gli ospiti del
convegno “I colori della terra”, promosso sabato dal Fai.Organizzato
presso il foyer dell’auditorium Bpl in concomitanza con la mostra
“Storia naturale” di Andrea Mariconti, il convegno è durato l’intera
giornata e ha messo a fuoco il tema in agenda attraverso una serie di
relazioni dedicate alla vocazione agricola del Lodigiano. Introdotto da
Maria Emilia Maisano Moro (capo delegazione del Fai Lodi-Melegnano), lo
storico Ercole Ongaro ha ripercorso l’evoluzione della cascina
lodigiana, mentre Maria Chiara Fugazza (vice presidente dell’Istituto
lombardo di storia contempoeanea) ha ricostruito i paesaggi
ottocenteschi della bassa, attraverso le pagine di Carlo Cattaneo. Non
una rievocazione nostalgica la loro, ma il riconoscimento oggettivo di
un’identità agricola che è compito dei lodigiani di oggi riaffermare e
difendere. Da quali minacce? Se ne è discusso nella restante parte del
convegno, cui hanno partecipato anche Costanza Pratesi (responsabile
dell’Ufficio ambiente e paesaggio del Fai) e Laura Boriani, presidente
dell’ordine degli architetti di Lodi, che ha spiegato come recuperare in
modo sostenibile i vecchi fabbricati rurali. Far rivivere gli immobili
esistenti contribuisce non poco a preservare il paesaggio, i cui nemici
principali sono naturalmente il cemento («La nostra provincia rientra
fra le otto circoscrizioni italiane che dal 2000 al 2006 hanno visto il
maggior incremento di superficie urbanizzata» ha ricordato il
giornalista Gesualdo Sovrano) e l’abbandono. Basti pensare ai ritagli di
terreno lasciati incolti a causa di «una pianificazione stradale che
non tiene conto della forma dei campi coltivati», come ha detto il
presidente di Confarticoltura Lodi Antonio Boselli. Vengono in mente i
campi di Mulazzano e Cassino d’Alberi, mietuti anzitempo dalla falce
della Tem «che solcherà con una ferita insanabile la parte
settentrionale del Parco Adda Sud», ha tuonato il direttore del parco,
Riccardo Groppali. Ma il consumo di suolo non va attribuito soltanto
alle grandi opere pubbliche: «Tutti dobbiamo sentirci responsabili», ha
detto il direttore dell’archivio storico Francesco Cattaneo. Per
impedire che il lodigiano si trasformi in una «nebulosa cementizia» si
potrebbe - per cominciare - «riqualificare aree dismesse e proporle agli
operatori in cerca di spazi produttivi», come fa da alcuni anni la
Camera di commercio di Lodi, rappresentata al convegno dalla
vicepresidente Claudia Rinaldi. Oppure - ha detto il consigliere
provinciale Emanuele Arensi - «aggregare le aree riservate allo sviluppo
di nuove attività in un unico centro produttivo, a servizio di più
comuni, come la Provincia ha fatto nelle «Terre d’oltre Adda»».Fonte: Il Cittadino
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