«Un paese nel paese, dove tutti si conoscono»: su questa definizione di
via Di Vittorio, tutti i membri del comitato di quartiere concordano.
Prima le polemiche per lo spettacolo al Troisi, poi l’anonimo ed
enigmatico volantinaggio antimafia: due episodi che, nelle ultime
settimane, hanno concentrato i riflettori sul contesto della via di
Certosa. Rinfrescando così, secondo i soci del comitato spontaneo
Parri-Di Vittorio, giovane sodalizio nato nel luglio 2012 dalla coesione
di una quarantina di soci, una nomea negativa che giudicano
inappropriata, fossilizzata sul passato ed in ogni caso denigratoria. «I
fatti sono fatti - così il presidente Italo Scardovelli -, non si può
rinnegare la storia: certi episodi negativi accaduti in passato non
vanno nascosti, ma via Di Vittorio non si riduce a quello. Negli ultimi
anni, poi, la situazione è migliorata tantissimo: qui c’è vita, c’è
integrazione». Nonostante questo, i residenti della zona continuano ad
essere penalizzati da una cattiva reputazione che, denunciano, inficia
l’onestà della stragrande maggioranza dei ben 6mila abitanti.
«L’etichetta si sente molto. I ragazzi che vanno a scuola a San Donato,
appena individuati come provenienti da via Di Vittorio, vengono
discriminati»: la constatazione condivisa è quella secondo cui, nel
comune sentire, «la nostra via è considerata non appartenente al resto
della città». Colpa di un passato problematico, che l’ha vista essere,
negli anni Settanta e Ottanta, sede di domicilio coatto di personalità
legate alla malavita mafiosa, cosa che ha favorito il radicarsi di
situazioni di criminalità. Nel 2009, un importante blitz ha portato a
diversi arresti per spaccio di droga. Il racconto di questa vicenda, un
paio di settimane fa, durante una rappresentazione per le scuole al
Troisi, aveva provocato una levata di scudi da parte di alcuni
residenti, poi rapidamente rientrata. «Le reazioni sono state
spropositate - così Stefania Frau, riassumendo l’opinione del gruppo -,
come a voler sminuire ciò che è successo in passato». Quello su cui
andrebbe posto l’accento e che non viene mai sottolineato, invece, è che
«qui si respira aria di paese, si vive bene, senza paure». Proprio
l’ubicazione decentrata rispetto al centro cittadino, se da una parte ha
favorito un certo isolamento dal cuore della vita sandonatese, d’altro
canto ha fatto sì che si instaurasse un’atmosfera paesana considerata
una garanzia di sicurezza. «Abito qui, felicemente, da 23 anni - dice
Sonia Cavagna -: è un quartiere vivo, dove la sera mi fido a fare uscire
le mie figlie col cane», senza dimenticare che, come sottolinea Lorenzo
Jasparro, «poche vie hanno i servizi che abbiamo noi, siamo serviti di
tutto. Sono nato a Milano e trasferito qui nel 1991: non me ne andrei
mai». Una rivendicazione chiara, quella del comitato: non nascondere il
passato, ma guardare senza pregiudizi al presente.Fonte: Il Cittadino
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