San Donato Milanese, 28 febbraio 2014 - La città si stringe intorno alla famiglia di Alfredo Famoso, il tassista sandonatese ucciso domenica sera durante un banale litigio automobilistico a Milano. Bandiere a mezz’asta, negozi chiusi al passaggio del feretro e sindaco in fascia tricolore durante i funerali: così San Donato ha annunciato il lutto
come segno di vicinanza ai parenti del tassista. La decisione verrà
ufficializzata non appena si saprà la data dei funerali. Ad annunciarlo è
il sindaco Andrea Checchi che ha concordato con Pisapia il lutto congiunto tra le due città: San Donato e Milano.
«Ho
parlato con Federico, il figlio di Alfredo - spiega Checchi-: la loro è
una famiglia distrutta da un gesto violento e inaudito di una persona scriteriata. Non c’è stato molto da dire: gli ho espresso la totale vicinanza dell’intera città». Non è ancora stata fissata la data per le celebrazioni del funerale. Prima di procedere alla tumulazione, i medici legali dovranno eseguire l’autopsia. Checchi ha scritto su Facebook un messaggio di grande affetto e solidarietà nei confronti del cittadino scomparso: «Un abbraccio forte da tutta la tua San Donato, carissimo Alfredo!».
Ieri
pomeriggio, il consiglio provinciale si è aperto oggi con un minuto di
silenzio. «Una morte assurda e inaccettabile che ci addolora
profondamente - ha detto il presidente Bruno Dapei -. Ci stringiamo con
grande affetto alla famiglia, agli amici e a tutti i colleghi di
Alfredo».
Nel condominio di largo Volontari del Sangue, dove Alfredo viveva da molti anni insieme alla moglie Giovanna Contu e al figlio Federico, lo sgomento è tangibile. «Abbiamo capito da subito che non c’era niente da fare - racconta Daniela Motta, la portinaia dello stabile -, anche quando Alfredo era attaccato ai macchinari dell’ospedale l’attività cerebrale era minima. Al figlio Federico ho detto che potevamo solo pregare».
Nel condominio di largo Volontari del Sangue, dove Alfredo viveva da molti anni insieme alla moglie Giovanna Contu e al figlio Federico, lo sgomento è tangibile. «Abbiamo capito da subito che non c’era niente da fare - racconta Daniela Motta, la portinaia dello stabile -, anche quando Alfredo era attaccato ai macchinari dell’ospedale l’attività cerebrale era minima. Al figlio Federico ho detto che potevamo solo pregare».
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