La lapide presso il palazzo di Marzano di Merlino, dal cui torrione fu gettato il partigiano Carlo Guaiarini, e la piazzetta di Villa Pompeiana, dove furono fucilati Martino Abbondio, Amalio Favini, Cesare Rigamonti, Italo Santini, Calogero Scaravilli e Oliviero Ugolini. Insieme alla cascina Cagnola di Galgagnano, dove morirono Michele Vergani, Celestino Sfondrini e i fratelli Artemio e Giuseppe Massari, sono questi i luoghi in cui domenica 25 luglio si è ricordato l’eccidio di Villa Pompeiana del luglio 1944. Le camicie nere erano arrivate da Milano, nella notte, per terrorizzare la popolazione dopo l’uccisione del gerarca Baciocchi a Lodi, di cui erano ritenuti responsabili partigiani e renitenti alla leva che trovavano rifugio nei boschi dell’Adda. Sulle note dell’inno di Mameli della banda di Zelo Buon Persico, la commemorazione di domenica è stata guidata prima da Giovanni Fazzi sindaco di Merlino, intervenuto a Marzano insieme a Mario Gandolfi dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani) del Lodigiano, che con il comitato onoranze per i caduti per la libertà ha organizzato la mattinata; poi da Paolo Della Maggiore, sindaco di Zelo, a Villa Pompeiana, dove sono arrivati tutti i rappresentanti delle amministrazioni comunali della zona, i gonfaloni delle città di Lodi e Melegnano e di vari comuni del circondario, delle sezioni Anpi e dei Combattenti e reduci da Lodigiano e Sudmilano. Presenti anche il già senatore Gianni Piatti e l’assessore del comune di Lodi Andrea Ferrari. Perché ricordare delle persone uccise 66 anni fa? «La guerra mette in relazione chi l’ha vissuta con chi è venuto dopo», ha dichiarato Fazzi. E Francesco Cattaneo, del comitato direttivo Anpi di Lodi, ha ripercorso con la memoria l’episodio più grave di rastrellamento nel Sudmilano insieme a quello dei martiri del Poligono di Lodi. «La memoria umana è cosa fragile, delicata - ha dichiarato Cattaneo -. Soggetta a distorsioni e falsificazioni. Insieme ai nomi delle vittime dobbiamo ricordare anche quelli dei criminali. In questo caso, il battaglione Mussolini comandato da Alvaro Onesti, che a Villa sorprese e catturò alcuni renitenti. Tra le vittime vi sono poi quattro civili che poco avevano a che fare con ciò». Tutti accomunati però dal non condividere una società fatta di violenza, soprusi e sfruttamento. «Ognuno si oppose come potè - continua Cattaneo -. L’episodio della Cagnola ha un alto valore simbolico. Furono sterminati dei contadini con il loro datore di lavoro. Non dimentichiamo che i Fasci si scagliarono prima di tutti contro le leghe contadine. E noi siamo debitori di chi ci ha preceduto, cui riconosciamo l’alto senso della società civile che ha poi generato le lotte per il diritto a scuola, pensioni, lavoro. La mia generazione ha trovato nel lavoro contratti a tempo indeterminato. Oggi consegniamo ai giovani lavoro precario, mal pagato, su cui non si può costruire nessun progetto di vita. Eppure l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Laddove arretrano i diritti del lavoro, arretra la democrazia». Fonte: Il Cittadino
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