sabato 10 settembre 2011

Pittura e Arte: L’interiorità soggettiva, lo sguardo “sul mondo” attraverso la pittura di Angelo Brando


A. Brando - "Nobildonna napoletana" (Collezione privata - Milano) 


Angelo Brando nasce a Maratea il 10 gennaio 1878. Ultimo di otto figli, di Giuseppe e Vincenza Zaccaro, fu avviato allo studio del disegno, dell’affresco, della scultura e della pittura all’età di quasi 18 anni, presso il Regio Istituto di Belle Arti di Napoli, dove facevano scuola, tra gli altri, maestri del calibro di Vincenzo Volpe, Domenico Morelli, Michele Cammarano e del moliternese Michele Tedesco. In questi anni conobbe Francesco De Nicola col quale strinse un'affettuosa amicizia, diventando poi cognati avendo sposato due sorelle, Eugenia (nel ritratto) e Maria Tauro.  L’impegno militante di nuova aggregazione si orientò verso “posizioni antiaccademiche” che alla “vecchia pittura di storia, piani prospettici, tonalità scure, colori terrosi, pennellate precise” contrapponeva una maggiore libertà derivata da influssi impressionisti e post-impressionisti, più aperti a caratterizzazioni individuali che non rinnegassero inclinazioni naturalistiche e influenze morelliane vicine alla loro formazione. Si consolidarono così, nella pittura del lucano Brando, il bozzettismo della pennellata, la luminosa fluidità, la flessuosità dei panneggi, l’incarnato “chiazzato” tra i contrasti luminosi.Tutti elementi anticipatori della voglia di nuovo, di una modernità avvertita e del tentativo di aggiornamento del linguaggio. Una tendenza che Brando sposò e interpretò senza riserve. La sua fu una produzione vasta, accompagnata da un’intensa attività espositiva che gli valsero apprezzamenti della critica, ammirazione dei colleghi e una committenza sempre viva, a partire dalla ritrattistica per la Casa Reale e per le famiglie facoltose di Napoli e Maratea. Non frequentò molto il centro del Golfo di Policastro, a cui comunque era legato dalla luce schietta e vibrante che tanta parte ebbe nella sua pittura. La sua tavolozza, dominata dai rossi tizianeschi, dalle accentuazioni cromatiche e dalle pennellate veloci e istintuali, sembrò quasi contraddire la natura pacata e mite del suo carattere, “l’innata modestia e il desiderio di non apparire”. La benevolenza per la famiglia e la gelosia della moglie Eugenia Tauro, (che si sostituiva volentieri alle modelle per pose più audaci), non frenarono la sua capacità espressiva. Tranne che per le tele simboliste - legate alle stagioni ed al mito e ad una certa idea di erotismo, che univa l’estetica al senso religioso di bellezza - i temi raffigurati da Brando furono incentrati sulle atmosfere domestiche. Una “pittura di realtà” con le radici negli affetti, in un repertorio della figura e dei sentimenti di grande mestizia. Il racconto iconografico, nell’apparente sommario tratteggio, produsse però un’intensità e una pulizia di esecuzione di grande efficacia che porta alla natura dell’animo umano e lo racchiude, lo esalta, lo delinea con una precisione che bozzettisti e macchiaioli hanno voluto deliberatamente espropriare al disegno. Il cucito, la lettura, le confidenze, i pensieri come gli atteggiamenti, le espressioni, le relazioni tra donne, fanciulle, bambine - negli interni della propria casa - sono il documento, il manifesto pittorico di un mondo di attenzioni, legami, passioni che da privato, segreto, interiore diventa condiviso e pubblico. La casa è allora il fulcro, il baricentro della vita affettiva. I ritratti sono, invece, l’interiorità soggettiva, il nostro sguardo “sul mondo”. Mentre la scrittura, il pianoforte, il violino, il coro il prolungamento delle corde e della misteriosa musicalità che la vita ci può riservare. L’opera “Violinista”, non a caso diverrà un soggetto caro al pittore, ripreso più volte e proposto nell’ultima raccolta in una versione del 1937. Non mancano però altri temi, come quelli del mercato di paese o alcune scene di natività, i riferimenti al ciclo della vita o ai ricordi filtrati dal tempo e dalla memoria. O ancora le vedute del Porto di Napoli e gli scorci della capitale. Brando si impegnò anche in realizzazioni di arte sacra e mariana, collocate in diverse chiese, dalla cappella di famiglia all’Addolorata di Maratea, da S. Rocco di Spinoso (Potenza) a S. Nicola Arcella (Cosenza). Una lunga malattia cardiaca lo condusse alla morte il 21 febbraio del 1955. La sua opera fu riassunta nella retrospettiva curata dalla figlia Cordelia nel 1959 alla galleria “Medea” di Napoli. La tutela del suo patrimonio artistico fu invece appannaggio del nipote Elio Forgione.
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