È un non-finito il “Cristo in croce” di Giuliano Garuti che
impreziosisce da qualche tempo la chiesa centrale di San Donato. Per
capire meglio quest’opera d’arte bisogna fare un passo indietro:
Giuliano Garuti, emiliano di Cento e una vita passata a San Donato, dove
un anno fa è prematuramente scomparso, è stato attivo artisticamente
sul nostro territorio (nei prossimi giorni, come da box a fianco, gli
sarà dedicata una mostra). Questa crocifissione testimonia la profonda
spiritualità dell’artista, formatosi a Brera, attivo all’Accademia
milanese e intraprendente organizzatore dell’associazione Arti e
Mestieri a San Donato. Un non-finito, si diceva. In effetti il «Cristo
in croce», scultura in legno che sfrutta la nodosità e le venature del
pioppo, appare poco più che abbozzata: non si tratta di una svista o di
mancanza di tempo. L’accenno al volto, sofferente, di Cristo, e il busto
accennato che si staglia come un’ombra sullo sfondo sono stati voluti
dall’artista fin dalla progettazione dell’opera. Sono evidenti i
riferimenti alle crocifissioni che hanno segnato la storia dell’arte di
cui la Pietà Rondanini, conservata al Castello Sforzesco e campione del
non-finito in scultura, è forse la più nota. Il Cristo di Garuti è un
Gesù in croce quasi consumato nel legno, eppure solido. La luce che
arriva dalle finestre presso il fonte battesimale della chiesa di San
Donato, dov’è collocata la scultura da qualche mese, favorisce il gioco
di ombre sul materiale utilizzato, un legno di pioppo impreziosito dalla
patina di cera (un procedimento, questo, messo in atto da Gianfranco
Pallotta, amico dello scultore). È un Cristo dolente e umano, quello
ritratto da Giuliano Garuti: le nervature del legno, la figura sottile e
eppure solida come il materiale utilizzato, ci restituiscono una
riflessione non banale sul mistero della crocifissione e il sacrificio
di Gesù. Il Cristo intagliato da Garuti con abile maestria è un Cristo
personale e profondamente umano: posto a suggello del fonte battesimale
(l’alpha e l’omèga della vita) appare ancora più significativo. Curiosa,
poi, la storia che ha condotto alla sua locazione: l’opera non era
stata pensata per un’esposizione pubblica, ma scolpita da Garuti su
commissione. Non fu però accettata per la sua incompiutezza, una
caratteristica che Garuti non ha inteso mutare perché costituiva
l’essenza stessa del suo progetto: lo scultore sandonatese decise poi,
poco prima della sua scomparsa, di donare la sua creatura alla chiesa
centrale di San Donato, con grande piacere del parroco, don Alberto
Barlassina, e dei fedeli. Oggi resta come emozionante immagine di un
Cristo sofferente ma indomito, e un bel ricordo di un artista locale che
tanto ha fatto per la diffusione dell’arte - intesa come creazione
artigianale - sul territorio.Fonte: Il Cittadino