Secondo una ricerca Ispo il 90 per cento dei commercianti è d'accordo con la legge sui "bioshopper" approvata 12 mesi fa ma quasi nessuno la applica. Polemica sulla velocità in cui si degradano i contenitori utilizzati - La legge sui bio shopper, partorita dopo molti rinvii, il primo gennaio scorso ha compiuto un anno. Ma i nuovi sacchetti sono veramente ecologici? In realtà solo un negoziante su 10 supera l'esame "compost", cioè utilizza buste biodegradabili in tempi brevi. Tre su 10 usano i prodotti sbagliati.
E 6 su 10 materiali su cui
non hanno certezze. La notizia viene da una ricerca Ispo che fotografa
il comportamento dei commercianti. Il primo dato confortante è che
sapevano: il 97% era a conoscenza della norma entrata in vigore il primo
gennaio 2011. Il secondo dato positivo è che 9 su 10 considerano la
nuova legge "un passo avanti nel rispetto dell'ambiente". Ma qui si
fermano le buone notizie e si entra nell'area critica. Tanto per
cominciare un commerciante su tre se ne infischia della legge e continua
imperterrito a smerciare i vecchi sacchetti di plastica di cui troviamo
traccia nei boschi, sui prati, sulle spiagge e nei fiumi. E solo 1 su
10 ha sul banco gli shopper che effettivamente non causano problemi
ambientali. Un risultato decisamente poco brillante che spiega
l'intensità delle polemiche che nelle ultime settimane hanno alimentato
il dibattito parlamentare. Il Pd (con i capigruppo in commissione
ambiente Roberto Della Seta e Raffaella Mariani e il responsabile
cambiamenti climatici Francesco Ferrante) ha presentato emendamenti al
decreto Milleproroghe per reintrodurre la norma sui parametri di
dissolvenza degli shopper che era misteriosamente scomparsa dal testo
dopo l'annuncio del governo. "Aggirare la legge con false plastiche
verdi è un disastro", ricorda David Newman, direttore del Consorzio
italiano compostatori. "Ci sono Comuni che stanno sbagliando gli
acquisti: distribuiscono sacchetti per la raccolta dell'umido che non si
degradano nei tempi giusti. Questo errore ci costa già oggi 20 milioni
di euro l'anno in danni agli impianti di compostaggio che restano
intasati dalla plastica". "Noi chiediamo una cosa molto semplice:
attenerci alla normativa europea", aggiunge Marco Versari, presidente di
Assobioplastiche. "Le bioplastiche devono sostanzialmente avere gli
standard della cellulosa che si dissolve nell'ambiente, in determinate
condizioni, in 180 giorni. Non è un obiettivo impossibile. Lo provano
le aziende, da Novamont a Mossi & Ghisolfi, che offrono prodotti
certificati e che nei prossimi 5 anni investiranno in Italia 700 milioni
di euro per sviluppare la chimica verde". In sostanza il punto è che il
concetto di degradabilità, privo di parametri, non ha significato:
tutto prima o poi si degrada. Ma un conto è che il processo avvenga in
qualche settimana, un conto è dover aspettare secoli. Un conto è avere a
che fare con un prodotto che viene dai campi, un conto è usare una
plastica che frammentandosi diventa meno visibile ma resta insidiosa.
"Noi proponiamo un cambio di prospettiva", precisa il ministro
dell'Ambiente Corrado Clini. "Con la chimica verde, che tra l'altro vede
un ruolo importante delle industrie italiane, si passa dalla filiera
dei combustibili fossili a quella dei prodotti organici. Si usa mais
invece di petrolio. Il che vuol dire che non soltanto si difende il
paesaggio dall'invasione dei frammenti di plastica, ma si dà un
contributo alla riduzione dell'uso dei fossili che, quando vengono
bruciati, rappresentano la principale minaccia per la stabilità del
clima".Fonte:La Repubblica.it